La strategia di Art Basel? «Puntare sulle giovani generazioni di collezionisti»
Il mese di giugno offre una pausa al mercato globale dell’arte, dopo il fitto calendario di maggio con le fiere e le aste a New York. A giugno gli impegni rallentano per far spazio al dominio globale del marchio Art Basel, che a Basilea nel quartiere della Messe dal 13 al 16 con anteprima l’11 e il 12, presenta opere di altissima qualità tra pittura, scultura, fotografia, arte digitale e accoglie tutti gli attori del mercato dell’arte. In particolare, una speciale attenzione è data ai collezionisti per favorire, attraverso un programma curatoriale, anche il ricambio “generazionale” dedicando a un pubblico più giovane l’offerta artistica. I risultati di questa settimana pre solstizio d’estate sono importanti per delineare le tendenze del mercato dell’arte nei prossimi appuntamenti autunnali.
Il punto sull’attuale situazione del mercato dell’arte è stato fatto nel corso di un incontro intitolato “Art Basel today (and tomorrow)” con Vincenzo de Bellis, direttore delle fiere e delle piattaforme espositive di Art Basel e organizzato dal collezionista Andrea Fustinoni, fondatore dell’associazione italiana di collezionisti Collective, a Santa Margherita Ligure al Gran Hotel Miramare custode di una parte della collezione d’arte contemporanea miramART oggi ben documentata in un catalogo «Beyond the Sea» edito da Allemandi.
Con Vincenzo de Bellis, abbiamo cercato di delineare le strategie future e i punti di forza del marchio Art Basel e delle quattro fiere.
Dal suo osservatorio quali sono le attese per i prossimi appuntamenti con il mercato dell’arte?
I dati dell’ultimo «Art Basel and UBS Global Art Market Report» parlano di una flessione del 4% a livello globale, ma in generale il mercato ha tenuto, dimostrando una certa resilienza. Detto questo non si può pensare che il mercato dell’arte sia avulso dalla realtà geopolitica mondiale con i conflitti e con le sue incertezze. Pensiamo solo a quanti milioni di persone saranno chiamati al voto nei prossimi mesi in tutte le parti del mondo a partire dal mercato più consistente che esista ovvero gli Usa. Le direi però, nonostante l’incertezza, io resto molto positivo e non posso che aspettare Art Basel a Basilea per vedere e far vedere al mondo la più grande produzione d’arte moderna e contemporanea possibile.
Qual è la visione strategica delle quattro fiere: Basilea, Miami, Hong Kong e, in particolare, l’ultima nata Parigi con Paris +?
L’arte è globale per definizione perché travalica qualsiasi confine e cultura. Per questo Art Basel e i suoi progetti sono globali in termini di qualità dell’offerta e dei servizi. Al tempo stesso le quattro fiere vogliono e devono distinguersi in quello che presentano al pubblico: ognuna delle città, delle comunità e delle relative culture deve emergere sempre di più. Le faccio due esempi molto significativi: Art Basel Miami Beach è la fiera principale del mercato più importante del mondo, gli Stati Uniti, ma si svolge in una città che richiama l’arte di un’altra area del continente americano, quella del centro e del Sud America: Miami pertanto è chiamata a connettere questi due subcontinenti.
Art Basel Hong Kong è la fiera di riferimento del continente asiatico, il cui mercato è dominato dalla Cina, ma che si sta espandendo in modo molto significativo nel Sud Est. Pertanto sia come presentazione di gallerie, ma anche di artisti e di collezionisti, Hong Kong deve riflettere queste caratteristiche. E così succede per Parigi, una fiera con una forte impronta francese, e per Basilea, la mamma di tutte le nostre fiere, la meno regionalmente definibile ma al tempo stesso collocata nel centro dell’Europa, con tutto quello che comporta sia in termini di storia dell’arte che di storia del collezionismo. Inoltre Basilea ha un sistema culturale molto solido, legato a doppio filo con la fiera. Nei giorni di Art Basel la città si trasforma in un villaggio dell’arte mondiale, ci si incontra ben oltre gli spazi del quartiere fieristico con Parcours, pellegrinando dalla Fondazione Beyeler allo Schaulager, passando dal Kunstmuseum e dalla Kunsthalle.
Mi chiedeva di Parigi in particolare. Confermo che la prossima edizione, dal 18 al 20 ottobre prossimo, si terrà al Grand Palais, pronto, dopo il lungo restauro, per le Olimpiadi. Per i contenuti, la fiera rispecchia la città nella quale opera, Parigi ritorna ed essere sempre più una capitale dell’arte contemporanea. Si tratta di un percorso iniziato diverso tempo fa, che la Brexit ha accelerato con conseguenze politiche, economiche e fiscali. La fiera si colloca in un contesto molto dinamico con un’ampia offerta culturale, non è un caso che si sia deciso di lavorare ad un programma pubblico in stretta collaborazione con le più importanti istituzioni, andando oltre lo spazio dell’arte contemporanea e dialogando con altri mondi creativi che hanno in Parigi la loro capitale, come la moda e il design.
Quali sono le strategie future?
Per l’immediato futuro siamo concentrati a mantenere il livello delle nostre quattro fiere altissimo, sia in termini di arte esposta sia in termini di collezionisti presenti. È quello che distingue il nostro gruppo da sempre. Siamo molto attenti anche alle giovani generazioni di collezionisti che sono il futuro del mercato. Vogliamo cercare di capire le loro esigenze, i loro punti di vista in termini di esperienza. Poi in egual misura, lavoriamo alla sempre maggiore definizione di Art Basel come produttore di contenuti per 365 giorni all’anno sia con le nostre piattaforme digitali, sia con progetti, come Art Week Tokyo.
Fiere e biennali d’arte oggi sono ancora due mondi diversi del sistema dell’arte?
Sono due facce della stessa medaglia. Sono due grandi mercati, anche se, giustamente, la Biennale Arte si presenta come un grande progetto culturale. Lo è certamente ed è un orgoglio che la più importante sia nel nostro paese. Detto questo, due anni nel mondo attuale sono molto di più di quanto non fossero diverso tempo fa, quindi mentre in passato era la Biennale che presentava le nuove tendenze degli ultimi due anni, ora abbiamo notato sempre di più come sia diventato un progetto più riflessivo. Penso alle ultime Biennali di Venezia, con quella Massimiliano Gioni e, poi, sempre di più quella di Cecilia Alemani e questa di Adriano Pedrosa sono mostre che si presentano come un compendio di storia dell’arte contemporanea diversa da quella che abbiamo studiato finora, più aperta e meno legata al canone tradizionale eurocentrico. Ora senza voler fare delle facili similitudini, le fiere, parlo delle nostre, dall’altro canto, hanno la peculiarità di avvenire ogni tre mesi e per loro natura rispondono alle esigenze di velocità dei nostri tempi in modo più immediato e diretto. Per questo, fanno quello che facevano le biennali un tempo, ovvero mostrare le ultime produzioni, le tendenze. Indicano dove il modo dell’arte e gli artisti stanno andando.
Fonte: Il Sole 24 Ore