Bankitalia, Panetta: «Liberiamo l’Italia dal fardello del debito». Prudenza fiscale e crescita economica
L’Italia ha enormi potenzialità per tornare a crescere «e per contare in Europa». Occorre rilanciare la produttività, aprire alla concorrenza, sostenere riforme europee, valorizzare il capitale umano. Ma prima di tutto va messa in cima alle priorità la riduzione del debito, un “zavorra” che ogni anno succhia colossali risorse sottratte all’innovazione e allo sviluppo. Ebbene, «potremo liberarci del fardello del debito soltanto coniugando prudenza fiscale e crescita». Fabio Panetta, nelle sue prime Considerazioni finali da Governatore della Banca d’Italia (la nomina risale allo scorso novembre), mette sul tavolo cosa serve al Paese, una «agenda chiara, che può essere realizzata». Sui tassi – la prossima settimana la Bce deciderà su un taglio ormai dato per scontato – conferma: «Per i prossimi mesi se i dati risulteranno «coerenti con le attuali previsioni si profila un allentamento delle condizioni monetarie». Quindi probabilmente altri tagli.
«Se la prospettiva di riduzione del debito sarà credibile i tassi sui titoli del debito scenderanno»
Il debito, quindi. «Affrontare il problema del debito richiede un piano credibile volto a stimolare la crescita e la produttività, e nel contempo a realizzare un graduale e costante miglioramento dei conti pubblici. Tale piano dovrà collocare il debito in rapporto al prodotto su una traiettoria stabilmente discendente» dice Panetta. «Quanto più la prospettiva di riduzione del debito sarà credibile, tanto minori saranno i rendimenti che gli investitori chiederanno per detenerlo. Ciò renderà a sua volta meno arduo l’aggiustamento. Sono necessarie scelte attente soprattutto dal lato della spesa, al fine di riorientarne la composizione in favore dello sviluppo e di eliminare le inefficienze. Un contributo dovrà derivare dal contrasto all’evasione fiscale, sulla scia dei risultati positivi registrati in questo campo nell’ultimo decennio». La ricetta, come detto, è la crescita – spingendo sulla produttività del sistema economico – e la prudenza fiscale, quindi con una stretta sulle finanze pubbliche coerente con questo percorso.
Europa, bilancio comune e un titolo comune privo di rischi
L’Europa ha una parte centrale nelle considerazioni, anche se non si fa riferimento alle prossime elezioni che disegneranno il “governo” della Ue per i prossimi cinque anni. «In un’unione monetaria un bilancio centrale ha due funzioni principali: finanziare i beni pubblici comuni e rispondere alle fluttuazioni cicliche, sia smussandone l’impatto nel tempo – un compito che in qualche misura può essere svolto anche a livello nazionale – sia compensando tra paesi gli effetti di shock asimmetrici. Un bilancio europeo consentirebbe di definire l’orientamento fiscale complessivo non più come la somma delle politiche nazionali, ma in base alle esigenze dell’economia dell’area; permetterebbe di affrontare efficacemente shock comuni forti e prolungati, quali la pandemia o la crisi energetica, favorendo la coerenza tra politica di bilancio e politica monetaria». Il tema investe anche la costruzione di un mercato dei capitali europeo: «Sarebbe illusorio pensare di finanziare l’enorme volume di investimenti necessari per la competitività dell’economia europea senza un preponderante apporto del risparmio privato e senza la professionalità degli intermediari». Perciò creare «un mercato dei capitali europeo è dunque essenziale». Per progredire verso un unico mercato dei capitali europeo vanno risolti due problemi fondamentali: il primo – scrive Panetta – è la mancanza di un titolo pubblico europeo privo di rischio, il secondo ostacolo alla creazione di un mercato dei capitali europeo è l’incompletezza dell’Unione bancaria.
I salari italiani riflettono il ristagno della produttività. Il ritardo su Francia e Germania
Nell’area dell’euro, l’economia italiana è quella con la minore crescita del prodotto per abitante nell’ultimo quarto di secolo. La produttività del lavoro è rimasta ferma; solo nel 2023 gli investimenti sono tornati a superare il livello precedente la crisi finanziaria, mentre le ore lavorate totali non lo hanno ancora recuperato. «L’evoluzione dei salari ha riflesso il ristagno della produttività: i redditi orari dei lavoratori dipendenti sono oggi inferiori di un quarto a quelli di Francia e Germania. In termini pro capite, il reddito reale disponibile delle famiglie è fermo al 2000, mentre in Francia e in Germania da allora è aumentato di oltre un quinto». Nei prossimi trimestri la dinamica dei prezzi, pur con oscillazioni, continuerebbe a flettere. «I salari dovrebbero rallentare a mano a mano che si completerà il fisiologico recupero del potere d’acquisto. L’alta redditività consente peraltro alle imprese di assorbire i recenti aumenti delle retribuzioni senza effetti sui prezzi di vendita. Il calo già registrato dei costi dell’energia e quello atteso dei tassi di interesse renderanno inoltre conveniente per le imprese accrescere la dotazione di capitale per lavoratore; ciò dovrebbe riflettersi in un aumento della produttività e in un rallentamento del costo del lavoro per unità di prodotto, riducendo le pressioni inflazionistiche che possono provenire da aumenti salariali».
Sostegno all’occupazione anche da un flusso di immigrati regolari in coordinamento con altri paesi Ue
Panetta ricorda che secondo l’Istat, da qui al 2040 il numero di persone in età lavorativa diminuirà di 5,4 milioni di unità, malgrado un afflusso netto dall’estero di 170.000 persone all’anno. Questa contrazione si tradurrebbe in un calo del PIL del 13 per cento, del 9 per cento in termini pro capite. «Nonostante la crescita dell’ultimo decennio, la partecipazione al mercato del lavoro, pari al 66,7 per cento, rimane di 8 punti percentuali inferiore alla media dell’area dell’euro. Il divario non è ampio per gli uomini, ma sale a 13 punti percentuali sia per i giovani tra 20 e 34 anni sia per le donne. Decisi aumenti dei tassi di occupazione – fino ai livelli medi dell’area dell’euro – potrebbero arrivare a controbilanciare gli effetti del calo demografico e mantenere invariato il numero degli occupati». È inoltre possibile che «un sostegno all’occupazione derivi da un flusso di immigrati regolari superiore a quello ipotizzato dall’Istat. Occorrerà gestirlo, in coordinamento con gli altri paesi europei, bilanciando le esigenze della produzione con gli equilibri sociali e rafforzando le misure di integrazione dei cittadini stranieri nel sistema di istruzione e nel mercato del lavoro. Ma è chiaro che anche con maggiore occupazione e maggiori flussi migratori l’apporto del lavoro alla crescita dell’economia non potrà che essere modesto. Solo la produttività potrà assicurare sviluppo, lavoro e redditi più elevati».
Fonte: Il Sole 24 Ore