Europee, il rebus astensionismo agita i partiti
Che il partito con il maggior consenso si confermi quello dell’astensione, lo danno ormai tutti per acquisito. Quello che molti sondaggisti temono davvero è invece che l’affluenza in Italia possa precipitare – a questo turno di Europee – sotto la soglia psicologica del 50% di aventi diritto al voto.
Alle Europee del 2019 in Italia andò a votare il 54,5% degli elettori «e gli ultimi dati ci dicono – osserva Fabrizio Masìa di Emg Different – che sabato e domenica potrebbero andare alle urnere tra il 48 e il 53% degli italiani». «Il dato dell’affluenza è in calo costante da vent’anni – aggiunge Antonio Noto – quindi è molto più alta la probabilità che l’asticella scenda sotto il 54% piuttosto che risalga». Ed anche Youtrend di Pregliasco si attende una partecipazione intorno al 50%, in calo di qualche punto rispetto a cinque anni fa.
Dietro la diminuzione dell’affluenza non ci sono solo motivi contingenti – ad esempio le Europee hanno tradizionalmente una partecipazione inferiore rispetto alle politiche – ma anche ragioni strutturali: «L’invecchiamento della popolazione – fa notare Lorenzo Pregliasco di Youtrend – porta con sé fisiologicamente una sempre minore partecipazione al voto».
Un dato assodato è poi quello territoriale: qualunque sia l’asticella alla quale si fermerà l’affluenza, sappiamo già che il dato più basso si registrerà nelle Isole, e poi via via sarà crescente risalendo l’italia da Sud a Nord. Una dinamica che, inevitabilmente, punirà i partiti più radicati nel Mezzogiorno, concordano praticamente tutti i sondaggisti. «L’aspettativa – chiarisce Noto – è che al Nord vada a votare anche oltre il 60% degli elettori, che al Sud la percentuale resti sotto il 50% e che nelle isole non si raggiunga il 40%». La logica conseguenza – deducono i vari istituti demoscopici – è che i partiti con maggiore radicamento al Nord ne possano beneficiare, mentre quelli tradizionalmente più votati nel meridione ne possano fare le spese.
Quanto all’età degli elettori, Rado Fonda di Swg vede «i più giovani, quelli che vanno al voto per la prima volta, abbastanza propensi a recarsi alle urne, la fascia 25-34 anni invece resta in genere sotto la media così come la fascia tra i 45 e i 54 anni». «La maggioranza di chi va a votare ha più di 50 anni – dice netto Noto – quindi si tratta di adulti e anziani. I numeri purtroppo ci dicono che i giovani vanno a votare poco». Nei giovani invece si osserva una sorta di paradosso: «Indubbiamente le giovani generazioni sono le più europeiste – spiega Masìa -, hanno nella loro cultura l’Europa unita, tuttavia la loro sensibilità verso la politica è inferiore, la sentono lontana e maturano una forte disaffezione nei suoi confronti».
Fonte: Il Sole 24 Ore