Soddisfazione lavorativa, retribuzione e AI: fra aziende e talenti resta un gap da colmare

Che il mercato del lavoro sia in costante evoluzione, soprattutto per quanto riguarda le modalità di attrazione e di “retention” dei talenti, non è una novità. E non lo è da tempo. Resta però il fatto che la velocità con la quale sta cambiando il mondo del lavoro continua a creare “difficoltà” a molti responsabili HR, chiamati a gestire le aspettative delle proprie risorse umane cercando di combinare le richieste di queste ultime con le esigenze di business della propria azienda. Una recente indagine a firma di PageGroup, uno dei più importanti attori a livello internazionale nel campo della ricerca e della selezione di figure specializzate, ha cercato di mettere a fuoco per l’appunto l’attuale rapporto fra dipendenti e datori di lavoro registrando le impressioni di oltre 50mila addetti in 37 paesi, di cui 2mila in Italia.

La questione retribuzione

La seconda edizione dello studio “Global Talent Trends” ha osservato innanzitutto la componente retribuzione, evidenziando come la rapida crescita degli stipendi avvenuta nella fase di ripresa post-pandemica sia rallentata nonostante il personale continui a chiedere stipendi più alti, sia nel nostro Paese che nel resto del mondo. Del campione di lavoratori italiani, più della metà degli intervistati (il 53% per la precisione) dà priorità allo stipendio quando valuta una nuova opportunità di lavoro mentre il 47% si dice insoddisfatto della propria retribuzione ed è alla ricerca di nuove occasioni lavorative, soprattutto per ottenere condizioni economiche più vantaggiose. Il 37% infine, ha chiesto un ritocco in busta paga negli ultimi 12 mesi. Per chi guida le aziende, il messaggio che emerge dalla ricerca è dunque esplicito: la retribuzione è un fattore chiave per attrarre e mantenere i talenti e il 41% delle organizzazioni oggetto di indagine si dice consapevole del fatto che proporre un compenso più elevato ai propri dipendenti è essenziale per rispondere a due specifiche loro esigenze, tenere il passo con l’aumento del costo della vita e sentirsi apprezzati per il contributo fornito.

Una (difficile) strategia per attrarre i talenti

«Individuare una strategia di talent attraction – precisa in proposito Tomaso Mainini, amministratore delegato di PageGroup per Italia e Turchia – è sempre più complesso perché emerge un vero e proprio divario di aspettative. Far coincidere le necessità del business con quelle dei lavoratori, in un momento come quello attuale caratterizzato da un clima di incertezza economica e politica, è la vera sfida dei prossimi mesi». Una sfida che annovera fra i suoi punti critici anche la flessibilità, con gli imprenditori alle prese con l’adozione di modalità di lavoro ibride e con i dipendenti che, oggi più che mai, non vogliono scendere a compromessi per quanto riguarda il loro benessere personale. Un aspetto, quello del bilanciamento tra vita professionale e vita privata, che in Italia – come conferma il manager di PageGroup – è considerato più determinante rispetto ad altri paesi europei e che registra situazioni in cui molti dipendenti senior si trovano ad affrontare politiche aziendali orientate a una presenza in ufficio ben superiore ai livelli effettivamente desiderati.

La realizzazione lavorativa

Altro tema affrontato dal report è quello dell’autonomia e della realizzazione lavorativa, ambito per il quale l’età sembra avere un peso e un ruolo molto importante. I professionisti over 50 sono infatti la categoria con il livello di soddisfazione maggiore (il 34% del totale), si preoccupano più del loro status personale che di fare carriera, apprezzando la libertà di scegliere un impiego a misura della propria vita, e non ambiscono ad avanzamenti che potrebbero aumentare il carico di lavoro o i livelli di stress. Il 33%, inoltre, è disposto a rifiutare promozioni a favore del proprio benessere, mentre il 17% prende in considerazione la possibilità di lavorare come professionista autonomo.

Diverso, invece, l’atteggiamento di chi ha fra i 30 e i 40 anni, che denotano maggiore interesse alle nuove opportunità professionali non avendo ancora raggiunto i propri obiettivi di carriera. Solo il 27% dei dipendenti più giovani, fra i 20 e i 30 anni, infine, si dichiara soddisfatto della propria condizione, con il 59% che si lamenta della propria retribuzione. «L’aspetto più impegnativo – secondo Mainini – è però un altro: ci sono cinque generazioni che oggi condividono gli ambienti di lavoro e che hanno esigenze, aspettative e leve motivazionali molto diverse tra loro. Creare una cultura aziendale dinamica e inclusiva in cui ogni persona, indipendentemente dall’età, possa sentirsi riconosciuta e valorizzata potrà davvero fare la differenza».

Fonte: Il Sole 24 Ore