L’equilibrio sereno di Giorgio Armani, Gucci si fa scoprire senza fretta

La breve tornata della moda maschile si è chiusa lunedì a Milano divisa tra le spinte opposte di un conservatorismo morbido, ma pur sempre tale, e il deciso emergere di un giovanilismo ribelle e spontaneo. Che ci sia in corso una infantilizzazione dello scibile – vestimentario, così come emozionale – è cosa nota da tempo.

Da un lato i paladini di Mr Ripley, allora, e dall’altro quanti si rifiutano di crescere, mentre in mezzo ci sta Giorgio Armani, sempre interessato all’equilibrio, preso ad alleggerire e sottrarre, mai prono ai toni eccessivi, allo sbraco. Non ci sono rivoluzioni sulla sua passerella, semmai reiterazioni uguali eppure diverse di uno stile impalpabile e vero. Questa stagione i sentori sono assolati e leggeri: sagome di palme come ombre proiettate si susseguono sulle quinte, mentre in passerella si succede una teoria di giacche senza collo, blazer decostruiti, camicie, pantaloni, in colori che dai naturali arrivano fino al nero lavato. È armanismo puro, di un equilibrio che colpisce, anche nella rappresentazione del maschile. Armani a fine sfilata saluta il pubblico, raggiante, al suo fianco Leo Dell’Orco, braccio destro e responsabile dell’ufficio stile uomo, e Gianluca Dell’Orco, storico collaboratore, in azienda molti anni. Non è un passaggio di consegne ma un implicito imprimatur.

«Non mi piace la moda che spaventa. Amo la moda che accoglie», dice Sabato De Sarno, il quale ambienta la sfilata Gucci in Triennale, affascinato dall’idea del museo come luogo di incontri – personali e culturali – e di libertà – del pensiero. Quasi prevenendo, con intelligenza e sensibilità, le critiche che si potrebbero muovere al suo segno sicuro ma poco incisivo – e a dirla tutta un po’ pradesco, un po’ valentinesco – De Sarno aggiunge: «Il mio lavoro non è fatto per impressionare subito, ma per essere avvicinato e conosciuto, come una persona che scopri nel tempo». La prospettiva è invero stimolante, di certo lontana dalla mentalità hit & run che invece oggi impone l’effetto pirotecnico e immediato. Al netto degli shorts inguinali, che creano un look molto fashion ma già visto, la prova, come già quella di Londra, afferma un punto di vista chiaro, mentre l’esecuzione è attenta. Colpiscono soprattutto le silhouette morbide realizzate in cotoni da camicia: presentate su giovinetti imberbi, sono in verità trasversali.

È multiforme per età e fisicità il cast di Zegna, dove il direttore artistico Alessandro Sartori continua con calma serafica e incrollabile determinazione a resettare e fluidificare il codice, mantenendo la sartorialità per declinarla in forme malleabili, adatte ai ritmi e alle esigenze dell’oggi, pensate per vivere a lungo con chi le indossa. Questa collezione è un ulteriore passo avanti nel percorso: mentre echeggia un’eleganza gigiona e seducente, molto italiana e molto anni 50, la decostruisce e la rende in qualche modo astratta, senza perdere di concretezza. È il lino, declinato in una varietà di tessiture, a dominare il nuovo guardaroba, ma sono i mocassini sottili e affusolati a definire l’atteggiamento, insieme alle tasche orizzontali e basse, che suggeriscono sempre posture rilassare. Sartori è un tecnico – il suo lavoro è radicato nelle materia e nella costruzione – ma è proprio attraverso queste due variabili che continua ad innovare.

Dhruv Kapoor, designer indiano pieno di immaginazione, pensa infine ad abiti che attraversano le diverse età della vita, catturate con gusto pirotecnico ma contenuto.

Fonte: Il Sole 24 Ore