Poli industriali siciliani a rischio con la decarbonizzazione

La concentrazione dell’attività in un unico settore o l’eccessiva dipendenza da un numero ristretto di operatori di grandi dimensioni sono potenziali rischi per i poli industriali siciliani. E poi: l’attività complessiva dei poli industriali dell’isola potrebbe risentire dei processi di riconversione connessi con la transizione energetica e la progressiva decarbonizzazione delle nostre economie. Sono due passaggi di un focus dedicato ai poli industriali della Sicilia dalla Relazione di Banca d’Italia dedicata all’economia dell’isola e presentata a Palermo. Secondo i ricercatori di Bankitalia potrebbe risentire la correlazione positiva e significativa, soprattutto nei poli petroliferi, tra la quantità di greggio lavorata il fatturato delle altre aziende manifatturiere con sede nella stessa zona. Ed è solo un aspetto del sistema industriale siciliano che, si legge ancora nel rapporto di Banca d’Italia, conta (i dati sono del 2021) circa 4.200 unità locali appartenenti a gruppi multinazionli che «rappresenbtavano una quota marginale degli stabilimenti attivi (l’1,4%) ma occupavano quasi il 9% degli addetti e generavano oltre un quinto del valore aggiunto del settore privato non agricolo e non finanziario». Valore aggiunto che tra il 2017 e il 2021 in Sicilia è rimasto sostanzialmente stabile a fronte di un lieve aumento nel resto del Paese.

Economia cresce a ritmi molto contenuti

Il focus sui poli industriali fa parte della disamina complessiva dell’economia siciliana la cui condizione, secondo la Banca d’Italia, è meno brillante di quanto sia stato raccontato. Nel 2023 l’attività economica in Sicilia è cresciuta a ritmi molto contenuti e più bassi di quelli dell’anno precedente: il prodotto è aumentato dello 0,7%, in misura lievemente inferiore rispetto al Pil italiano. «I segnali di ripresa che si erano manifestati nel primo trimestre si sono attenuati nei mesi successivi – si legge nel rapporto -. In base alle indicazioni di carattere qualitativo raccolte, la crescita economica sarebbe modesta anche nell’anno in corso».

Male industria e agricoltura

Non va bene l’agricoltura a causa della situazione climatica: il valore aggiunto che nel 2022 si era ridotto del 3,7%, nel 2023 ha registrato un ulteriore calo sebbene meno intenso rispetto alla media nazionale e del Mezzogiorno. Non va bene l’industria a causa di una congiuntura debole e dell’elevato costo del credito che hanno frenato gli investimenti delle imprese: «Nel 2023 è proseguita la contrazione del valore aggiunto industriale, con una riduzione sostanzialmente analoga a quella registrata nel Mezzogiorno e a livello nazionale. In base a nostre elaborazioni su dati Istat, la flessione della produzione industriale regionale, più marcata nella prima metà dell’anno, si è attenuata nell’ultimo trimestre del 2023» scrivono i ricercatori di Bankitalia.

Per quanto riguarda l’edilizia anche se «in decelerazione, l’attività si è mantenuta su livelli elevati, beneficiando ancora dello stimolo derivante dagli incentivi fiscali oltre che della domanda proveniente dall’operatore pubblico. L’indebolimento dei consumi si è riflesso sull’andamento dei servizi privati non finanziari, la cui dinamica è stata però sostenuta dai risultati positivi del turismo e dei trasporti aerei e marittimi» si legge ancora.

Mercato del credito debole

Debole il mercato del credito che comincia a dare segnali preoccupanti: la crescita dei prestiti al settore privato non finanziario nel corso del 2023 si è progressivamente indebolita fino ad arrestarsi. «Gli indicatori della rischiosità del credito, che nel 2022 avevano raggiunto valori molto contenuti, hanno messo in evidenza qualche segnale di peggioramento – si legge -. Per le famiglie è cresciuto il flusso di nuovi prestiti deteriorati; per il settore produttivo è aumentata l’incidenza, tra i prestiti in bonis, di quelli che hanno registrato un ritardo nei rimborsi».

Fonte: Il Sole 24 Ore