Ristorazione stellata in crisi: clienti cercano esperienze diverse

Come soluzione efficace in diversi casi per riuscire a riequilibrare i bilanci si è affiancata una proposta più facile e accessibile, con le relative aperture di bistrot o locali alternativi.
Probabilmente la richiesta della clientela determinerà l’evoluzione futura che è di per sé già in atto.

Prendiamo come esempio alcuni modelli attuali di enorme successo come il gruppo Langosteria o Trippa a Milano (solo per citarne alcuni, distanti fra loro nella proposta). Si tratta di locali che offrono una differente, ma pur sempre ottima, esperienza culinaria al cliente, senza la minima intenzione di rincorrere alcuna stella. In modo e maniera diversa sono dunque ristoranti che offrono agio alla clientela.

In altri casi (che per inciso e inevitabile destino sono implosi) il modello sembrava quasi opposto, col risultato di creare disagio in nome della centralità della cucina e dello chef, in deroga a un obiettivo essenziale della ristorazione che dovrebbe essere sempre e comunque quello di ristorare.

Di contro aggiungo invece alcuni esempi di ristoratori che hanno ricevuto la stella Michelin salvo decidere di intraprendere con diligenza un percorso appagante e differente che ha riempito i locali – assai richiesti e ben frequentati – senza rinunciare alla grande qualità nella proposta.

È il caso di chef Tokuyoshi con la sua Bentoteca a Milano ma anche di Daniele Minarelli di All’Osteria Bottega a Bologna. Anche perché il traguardo raggiunto della prima stella richiama subito all’ordine ingenti investimenti per ottenere la seconda e peggio mi sento con la terza. Pierluigi a Piazza de’ Ricci, Salumeria Roscioli (vere e proprie istituzione di successo internazionale), poi ancora Al Ceppo e Ai Piani per fare qualche nome anche su Roma e non fermarsi solo a Milano. Insomma, l’Italia è piena di molti altri esempi e non solo su queste due grandi città.

Fonte: Il Sole 24 Ore