Uccise il padre violento per difendere la madre, per lui appello-bis

Ci sarà un nuovo processo d’Appello per Alex Pompa, il ragazzo che nell’aprile del 2020 uccise a coltellate il padre a Collegno, in provincia di Torino, al culmine dell’ennesima lite familiare per difendere la madre. Assolto in primo grado per legittima difesa, Alex, che ora porta il cognome della madre, Cotoia, era stato condannato il 13 dicembre del 2023 a sei anni e due mesi dalla Corte di Assise di Appello di Torino. I supremi giudici della prima sezione penale della Cassazione, accogliendo la richiesta della procura generale della Cassazione, hanno annullato con rinvio la sentenza impugnata disponendo un appello bis, accogliendo la tesi del Pm “È evidente la necessità di una motivazione rafforzata davanti a un ribaltamento così evidente rispetto alla prima pronuncia – aveva sottolineato il sostituto procuratore generale della Cassazione Marco Dall’Olio nella requisitoria davanti alla Suprema corte – La motivazione della pronuncia di Appello deve essere massimamente rafforzata: il primo giudice assume come attendibili le testimonianze della madre e del fratello di Alex mentre i giudici d’appello con la sentenza hanno disposto l’invio degli atti in procura per falsa testimonianza. Per la Corte d’Appello il giorno dell’omicidio era un giorno di “ordinaria” violenza, non si capiva dunque cosa avesse scatenato il fatale accoltellamento. Per la Cassazione però si tratta di una motivazione debole.

Soddisfatto e fiducioso in un nuovo verdetto Claudio Strata l’avvocato del giovane “La requisitoria del procuratore generale ci aveva dato molte speranze. Ha parlato giustamente di motivazione della sentenza d’appello molto povera, che non aveva preso in considerazione la stragrande maggioranza degli elementi probatori di carattere oggettivo. Questo era il punto su cui anche noi facevamo molto affidamento. Noi restiamo convinti che la sentenza di primo grado fosse corretta e che quella di secondo grado fosse partita da una posizione di estremo rigore se non addirittura da una posizione preconcetta”.

La difesa del ragazzo

Il difensore ricorda anche il clima in cui il parricidio era maturato “Fu legittima difesa. L’imputato non è un vendicatore. Siamo riusciti a ricostruire cosa succedeva in quella casa dal 5 aprile 2016. Ci furono più di 200 liti. Quella sera non c’era la solita routine ampiamente governabile, come dice la Corte d’appello, ma in quella casa era scoppiata una bomba atomica. La vicenda di Alex era approdata anche alla Corte costituzionale che aveva approdò poi in Corte Costituzionale che con la dichiarazione di incostituzionalità della norma del Codice rosso – pensato soprattutto per la violenza contro le donne – che vietava di far prevalere le attenuati sulle aggravanti ha aperto la strada ad una pena più mite per l’imputato.

L’ennesima lite tra il padre e la madre

L’omicidio era avvenuto dopo l’ennesima lite della coppia. Il tribunale di primo grado aveva valorizzato le dichiarazione di madre e figlio sulla reazione alla violenza contro la madre, affermando la legittima difesa. Una ricostruzione che non aveva convinto la Corte d’Appello. Trentaquattro coltellate sferrate con sei coltelli diversi, per i giudici di secondo grado non possono essere considerati un disperato tentativo di difendere la vita della donna. Nelle motivazioni di quella sentenza i magistrati affermarono che i colpi furono indirizzati soprattutto alla “regione dorsale” e “ci fu una reiterazione” e ciò, sottolineano i giudici, depone “univocamente nel senso di una condotta francamente aggressiva”. La Corte d’Assise d’Appello aggiunse che i “presupposti essenziali della legittima difesa sono un’aggressione ingiusta e una reazione legittima e mentre la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di un’offesa, la seconda deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo e alla proporzione tra difesa e offesa”. Una colluttazione avvenuta al termine di una giornata di tensione fra i coniugi: Maria Cotoia, cassiera in un supermarket, raccontò che il marito nel corso della giornata l’aveva contattata non meno di 101 volte sul telefonino solo perché credeva che al lavoro avesse salutato un collega. Ora la Cassazione chiede un nuovo giudizio a fronte di un’assoluzione ribaltata.

Fonte: Il Sole 24 Ore