L’autotrasporto chiede i biocarburanti – Il Sole 24 ORE

Un quesito assilla le imprese italiane dell’autotrasporto merci: per garantire spedizioni su strada meno inquinanti, come chiede l’Europa, c’è solo l’elettrico oppure i camion possono muoversi anche con altri tipi di alimentazione, contribuendo a ripulire l’ambiente e a bloccare il cambiamento climatico? E la risposta, l’autotrasporto italiano l’ha indicata a più riprese: per decarbonizzare il trasporto pesante è necessario puntare con decisione sui biocarburanti (Hvo diesel e biometano), un settore nel quale l’Italia è all’avanguardia nel mondo. Ora si tratta di farlo comprendere anche all’Europa.

Lo scorso aprile, prima di sciogliersi per la scadenza quinquennale del mandato, il Parlamento Ue ha approvato definitivamente il regolamento che introduce tagli drastici e progressivi alle emissioni di CO2 per i veicoli pesanti (Tir) fino al 2040: -90% rispetto agli standard fissati nel 2019. Il regolamento è stato approvato anche dal Consiglio Ue lo scorso 13 maggio. Una decisione che si è abbattuta come un macigno su una realtà composta da circa 100mila imprese e 4 milioni di veicoli, con un’età media dei mezzi superiore ai 14 anni, per oltre il 90% alimentati da carburante diesel (gasolio), mentre i veicoli elettrici rappresentano lo 0,3% del totale dei camion in circolazione. Dopo la decisione della Ue, la strada sembra segnata: tra 16 anni le case produttrici non potranno praticamente più costruire veicoli pesanti con motori a combustione e, in attesa che maturino i tempi per quelli a idrogeno, tutti i mezzi di nuova fabbricazione dovranno avere una trazione elettrica, che però ha una diffusione modestissima in Italia. In questo scenario, gli autotrasportatori italiani, tra i quali resistono migliaia di padroncini, cioè imprese dotate di un unico mezzo, dovranno scegliere se rinnovare il proprio parco acquistando veicoli che costano più del doppio di quelli tradizionali a combustione (diesel, benzina) oppure continuare a circolare con i vecchi camion finché sarà consentito.

In realtà, la ratifica definitiva delle istituzioni europee giunge al termine di un cammino tormentato, con votazioni controverse che hanno mostrato i dubbi crescenti all’interno dell’Assemblea sulla soluzione che si andava prospettando, con frequenti capovolgimenti della maggioranza. Alla fine, le forze più sensibili a un ambientalismo solo elettrico hanno imposto la loro visione complessiva, ma hanno dovuto accettare che l’efficacia e l’impatto del regolamento sulle emissioni dei veicoli pesanti siano riesaminati dalla Commissione nel 2027.

Ed è in questo scenario, con la verifica attesa fra tre anni, che Italia e Germania, pur con visioni diverse, contano di giocare le loro carte per promuovere le alimentazioni alternative al motore elettrico. Lo spiega la nuova edizione dei «Cento numeri per capire l’autotrasporto – Tutte le spine della sostenibilità», edito da Federservice (Gruppo Federtrasporti) e realizzato dalla redazione di Uomini e Trasporti, presentato lo scorso maggio nell’ambito del Transpotec alla Fiera di Milano.

In sintesi: le posizioni di Roma e Berlino sono emblematiche e parallele. Berlino difende gli e-fuel (i carburanti sintetici, ovvero carburanti prodotti in laboratorio attraverso l’elettrolisi) per proteggere la propria industria dell’automotive che ha investito massicciamente su questa soluzione. Le stesse ragioni muovono l’Italia nella battaglia ingaggiata all’interno delle istituzioni comunitarie per ottenere un via libera ai biocarburanti, che però non è ancora maturato. Dietro le posizioni del nostro governo ci sono infatti i sostanziosi investimenti delle due imprese leader nazionali nel settore energetico: Eni e Snam. L’Eni (di cui Snam è stata una costola fino al 2010) sta producendo e distribuendo in 600 stazioni in tutta Italia un biocarburante liquido rinnovabile – l’Hvo (Hydroteated Vegetable Oil) – ricavato dagli scarti vegetali o animali, residui dell’industria agroalimentare e da una parte residuale di olii vegetali, che riduce fino al 90% le emissioni di carbonio ed è tranquillamente impiegabile sui motori di ultima generazione Euro 6. L’Hvo è già diffuso in vari Paesi del mondo, soprattutto negli Stati Uniti. Su questo tipo di carburante ha investito Eni, che lo sta producendo in due bioraffinerie a Venezia (dal 2014) e a Gela (dal 2019), ma anche (da tre anni) in Kenya, dove ha realizzato un agro-hub per la produzione di olii vegetali, che sarà seguito da installazioni analoghe in Congo, Costa d’Avorio, Mozambico e Angola.

Fonte: Il Sole 24 Ore