Francia, perché è stallo tra Macron e il Front Populaire

Macron non chiede un nome. Il Front Populaire non riesce a trovarlo. Lo stallo francese è tutto qui, in una sinistra quasi offesa per non aver ricevuto – in quanto coalizione vincente – una telefonata dal presidente della repubblica ma incapace di individuare la propria donna o il proprio uomo di punta.

Stabilità garantita

Il Paese non si ferma. Macron e Gabriel Attal hanno rispettato le prassi repubblicane: il primo ministro ha subito rassegnato le dimissioni, il capo dello Stato gli ha chiesto di restare in carica per garantire la stabilità della Francia. Come sempre. In passato, però, le consultazioni per il nuovo ministro iniziavano immediatamente e la fase di transizione aveva – almeno politicamente, le istituzioni sono più lente – una durata brevissima.

Aspettare l’Assemblée

Macron, che è partito per il vertice Nato, ha annunciato che prenderà le decisioni una volta che l’Assemblée si sarà consolidata, occorre che si formino i gruppi parlamentari e con quali rapporti di forza. In buona sostanza, vuole vedere se il cartello elettorale della sinistra, che si è formato in due giorni, reggerà alla prova.

L’illusione della sinistra

Il Front populaire per ora resta coeso, anche se le fratture cominciano a manifestarsi: ha promesso un nome per la fine della settimana, ma l’entusiasmo per la vittoria alimenta un’illusione pericolosa, anche per la tenuta della coalizione: l’idea di poter governare da solo con il 31% dei seggi. Il governo di minoranza dei macroniani, per due anni, è sopravvissuto perché la sinistra non votava le mozioni di censure del Rassemblement e viceversa: il significato politico di una convergenza, sia pure contro un governo avversario era insostenibile. Ensemble aveva inoltre 250 deputati, una quarantina meno della maggioranza assoluta. Ha dovuto invocare spesso, quanto la Costituzione lo permetteva, l’articolo 49.3 della Costituzione che permette di varare una legge senza il voto dell’Assemblée e del Sénat, con un costo politico enorme, ma è riuscito molto faticosamente ad andare avanti.

Governare per decreto

È proprio questa la strada che la sinistra vorrebbe percorrere, dopo averla aspramente criticata: un governo che proceda per decreti e ricorrendo all’articolo 49.3. Ignorando di fatto il Parlamento, in una République che, per quanto semipresidenziale, ha comunque e non può non avere – come stanno ricordando diversi costituzionalisti – un fondamento parlamentare. Mélenchon, in un’intervista ieri, ne ha parlato apertamente: l’aumento dello Smic, la revisione delle norme sulle pensioni di chi è nato prima del ’68, possono essere fatte per decreto; ma Mélenchon è espressione di una sinistra non amante del Parlamento. Anche Olivier Faure, segretario dei socialisti, si è espresso allo stesso modo: “Quello che si è fatto con il 49.3 può essere abrogato con il 49.3”. Il Front sembra dimenticare però il potere di controfirma, non del tutto “formale”, “cerimoniale”, di un presidente della Repubblica che alcune di quelle misure – sulla presidenza per esmepio – ha voluto fortemente. Il rischio è che il mancato rispetto per la sintassi istituzionale che ha spinto i francesi a isolare Marine Le Pen macchi almeno le intenzioni del Front populaire.

Fonte: Il Sole 24 Ore