Pd e M5s festeggiano la vittoria del «Fronte» ma restano divisi su Ue e Ucraina

Il risultato del secondo turno delle legislative in Francia, con la sconfitta del Rassemblement National di Marine Le Pen arrivato terzo dopo il fronte delle sinistre e dopo la coalizione liberademocratica del presidente Emmanuel Macron, ha legittimamente galvanizzato il Pd e il costituendo centrosinistra o fronte progressista che dir si voglia nostrano: la destra sovranista si può battere tutti insieme, è il messaggio rilanciato dalla segretaria dem Elly Schlein e anche dagli altri leader delle opposizioni. Insomma, il motto “testardamente unitari” della giovane leader del Pd sembra più che mai l’unica strada possibile per costruire un’alternativa al governo Meloni in vista delle prossime elezioni politiche.

Il “fronte popolare” nostrano festeggia la sconfitta di Le Pen…

Una sorta di prova di un “fronte popolare” nostrano è in effetti andato in scena nei giorni scorsi in almeno un paio di occasioni: a Bologna al convegno dell’Anpi e a Roma con la grande foto di gruppo nel giorno del deposito in Cassazione del quesito referendario per l’abrogazione del Ddl Calderoli sull’autonomia differenziata: dal leader della Cgil Maurizio Landini a quello del M5s Giuseppe Conte, entrambi contrari all’invio di armi all’Ucraina, ai leader di Alleanza Verdi Sinistra Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli; dal segretario di Più Europa Riccardo Magi alla plenipotenziaria renziana Maria Elena Boschi, ovviamente fieramente atlantisti e anti-Putin.

… ma è diviso su Ucraina e Ue

Tra le tante cose che dividono questo variegato fronte abbiamo citato non a caso i temi internazionali e la posizione sulla guerra in Ucraina in corso da due anni: è possibile governare insieme con queste posizioni contrastanti? Vale la pena di sottolineare anche la posizione diversa dei due principali partiti, il Pd e il M5s, sul fronte della governance Ue in vista del voto dell’Europarlamento del 18 luglio: i dem, come tutto il Pse, a favore della riconferma della popolare Ursula von der Leyen; il M5s, appena approdato nel gruppo europeo dell’ultrasinistra The Left, contrario.

La lezione della Gran Bretagna e (forse) della Francia: la sinistra vince se è a guida riformista

Tornando alla Francia, la soluzione del governo che Macron troverà nelle prossime settimane potrà dare una prima indicazione anche per le nostre opposizioni: il tentativo a cui sta lavorando il presidente francese con il socialista Raphaël Glucksmann, un leader schiettamente riformista ed europeista, è quello di formare un governo di centrosinistra escludendo il leader della France Insoumise Jean-Luc Mélenchon: sovranista, euroscettico, anti Nato, filoputiniano, illiberale e a tratti anche antisemita (il suo “antisemitismo” è stato ed è oggetto di ampia discussione in Francia, soprattutto dopo l’attacco di Hamas in Israele del 7 ottobre), Mélenchon è per certi versi l’altro lato della medaglia Le Pen. Vedremo nei prossimi giorni se il tentativo andrà a buon fine. Ma in ogni caso la lezione è chiara: il “tutti contro” funziona per fermare la destra ma diventa una formula destinata a sgretolarsi subito quando è il momento di tradurla in formula di governo. Di contro, la seconda lezione che potrà venire dalla Francia nei prossimi giorni è che le leadership riformiste e moderate, come sono sia pur in modo differente quelle di Macron e di Glucksmann, sono in grado determinare gli obiettivi dell’area di riferimento anche quando non sono maggioranza (come invece appena accaduto in Gran Bretagna con il trionfo del Labour a guida riformista del Primo Ministro Keir Starmer).

Al Pd il compito di mantenere la rotta europeista e atlantista

Quando Schlein dice che occorre costruire una coalizione “per”, a partire dai temi comuni per un programma di governo, e non “contro”, sembra aver colto la lezione francese. Così come di necessaria alleanza tra sinistra e riformisti parla anche il presidente del Pd Stefano Bonaccini, il leader della minoranza interna appena eletto a Strasburgo come eurodeputato. Il passo avanti che deve fare il Pd, facendo tesoro delle lezioni che vengono dalla Francia e dalla Gran Bretagna, è che l’alleanza tra sinistre varie e riformisti può funzionare solo se la guida è riformista: In Europa la sinistra radicale può anche avere un buon successo ma le elezioni non le vince e quindi al governo non ci va, come accaduto allo stesso Labour nei lunghi 14 anni di traversata nel deserto a guida Jeremy Corbyn (uno, per dire, che non si è opposto alla Brexit). Il risultato delle ultime europee, con un Pd verso il 25% e un M5s fortemente ridimensionato al 9,9%, ha ridisegnato i rapporti di forza interni al costituendo campo largo: con questi numeri tocca senz’altro ai dem guidare l’alternativa, mantenendo saldi sia l’europeismo sia la collocazione atlantica. Conte potrà anche distinguersi, insomma, ma senza incidere sulla rotta.

Fonte: Il Sole 24 Ore