Il comune risarcisce per gli spettacoli in piazza rumorosi

L’interesse pubblico allo svolgimento degli spettacoli estivi organizzati dal Comune in piazza, non può comportare il sacrificio del diritto del privato alla sua tranquillità imponendogli di sopportare immissione sonore oltre il limite della tollerabilità. La Cassazione ha così confermato la condanna di un comune che, come molte altri, organizza durante l’estate manifestazioni culturali che si svolgono in piazza, fino a tarda notte. Spettacoli non troppo graditi, per via del rumore, ai due ricorrenti, che hanno citato in giudizio l’ente locale ottenendo anche in Cassazione la conferma della sua condanna.

La normale tollerabilità

Il tribunale ha, infatti, effettuato una consulenza tecnica dalla quale è emerso che quei rumori superavano, sia a finestre chiuse sia aperte, la soglia dei decibel consentiti, e dunque ha liquidato equitativamente la somma di 1.000 per ogni ricorrente, “oltre accessori, a ristoro del pregiudizio subito”. Un danno che derivava anche dall’impossibilità, per i proprietari degli appartamenti, di godere della casa destinata alle vacanze estive.

Una decisione impugnata sia dal Comune, che puntava a “tagliare” il risarcimento, sia dai proprietari delle case che volevano una cifra più alta. Richiesta quest’ultima accolta: la somma riconosciuta è stata di 3mila euro ciascuno. Senza successo il comune arriva in Cassazione.

La valutazione caso per caso

La Corte di appello aveva respinto la tesi del comune, in base al quale il consulente tecnico d’ufficio avrebbe fatto riferimento, per le misurazioni, al Dpcm del 1997, relativo alle attività produttive, che non poteva essere applicato alle manifestazioni culturali, come quelle che il comune organizzava in quella piazza. I giudici territoriali avevano però chiarito che il tribunale non aveva usato quei parametri, ma aveva fatto ricorso al “metodo comparativo indicato dalla giurisprudenza secondo cui la tollerabilità va valutata caso per caso in relazione alle circostanze concrete”.

Per i giudici di merito dunque “l’interesse pubblico allo svolgimento degli spettacoli non poteva comportare il sacrificio del diritto del privato oltre il limite della tollerabilità”.

Fonte: Il Sole 24 Ore