Elena Ferrante scrittrice del secolo? Per il New York Times, sì

Il “New York Times” incorona L’amica geniale di Elena Ferrante come “romanzo del secolo” nientemeno. Il secolo è solo arrivato a toccare il primo quarto e dunque è un po’ come dire non cosa farà un bambino da grande ma quanto prenderà di liquidazione e di pensione. Le ricorrenze cronologiche sono molto care ai giornali: centenari della nascita o della morte, cinquantenari e quarti di secolo sono occasioni da sfruttare. Qui vale la battuta del direttore di un teatro di Napoli che nel 2001 era stato accusato di non avere celebrato il centenario verdiano e aveva risposto così: “Per farmi la doccia non ho bisogno di aspettare l’anniversario dello scaldabagno”.

Al di là delle occasioni che si impongono o si inventano, venticinque anni sono un tempo abbastanza sedimentato, oltreché rotondo, per fare una riflessione sulla narrativa del nuovo millennio. Travolta dalle infodemie terroristiche, pandemiche e belliche, dalle serie televisive, dai videogiochi, la letteratura continua ad avere uno spazio, sia pure sempre più ridotto, come forma di intrattenimento, ma ha perso completamente rilevanza. Si contano sulle punta delle dita di un monco, per stare in Italia, i titoli che hanno lasciato qualche traccia e per motivi piuttosto (ma non solo) extraletterari: Gomorra e la serie su Mussolini, Saviano e Scurati. Abbiamo dimenticato qualcosa? Di quali altri libri si è parlato tutti, si è ragionato e discusso al di fuori della bolla scoppiata dei letterati?

Il podio

E allora che significato assume il podio planetario assoluto assegnato alla Ferrante da parte di una vasta giuria di oltre “500 romanzieri, scrittori di non fiction, librai, bibliotecari, poeti, librai, critici, giornalisti e altri lettori interpellati dalla Book Review” per scegliere il “best book” tra cento concorrenti? Proprio mentre la nazionale di calcio dà spettacoli indecorosi a mondiali ed europei. Lo stesso New York Times vede l’affermazione come una celebrazione dell’autofiction, il racconto romanzato di una esistenza più o meno comune. Ed è paradossale che si dica qualcosa del genere a proposito di un’autrice di cui non conosciamo la vera identità: “In confronto a Ferrante, Thomas Pynchon è un fanatico della visibilità”. Lo ha affermato il critico James Wood in Come funzionano i romanzi, tradotto e pubblicato in Italia da Minimumfax, avvincente saggio di tecniche scrittura creativa. In un saggio successivo, Come funziona la critica, Wood spiega: “Elena Ferrante – o “Elena Ferrante” – è una delle scrittrici italiane contemporanee più conosciute e meno conosciute al tempo stesso. E’ autrice di numerosi romanzi straordinari”. Il testo sulla Ferrante è uno degli ultimi, per motivi cronologici. Si parte con Don Chisciotte, Čechov, Tolstoj, Virginia Woolf, Joseph Roth, Primo Levi… Un bell’anticlimax.

“Elena Ferrante”, come scrive Wood, cioè tra virgolette, trattandosi di pseudonimo, non è Tolstoj ma neanche Sebald, Bolaño, Houellebecq, autori che hanno tenuto alta la bandiera sbrindellata della letteratura con una voce originale. E del resto la selezione non interrogava i critici e dintorni, pur presenti nel campione interpellato, ma un pubblico più vasto. Si tratta quindi di un compromesso tra popolarità e qualità, privilegiando la popolarità. I suoi libri, spiega il New York Times, si vedono ovunque in tutto il mondo. Spuntano da tutte le borse e gli zaini. Letteratura pret à porter? Comunque sia fa piacere che tutto questo accada a una scrittrice italiana e a una casa editrice italiana indipendente. Ma sembra ormai il sigillo apocalittico sulla fine del romanzo, della letteratura, almeno come possibilità contemporanea e non storia millenaria. Qualcosa di beffardo.

Il mondo editoriale anglosassone, che tanto ha snobbato negli ultimi anni le italiche lettere, forse da Dante e Boccaccio in poi, si inchina di fronte a un romanzo convenzionale, privo di originalità sia formale che contenutistica, che rivanga nel terreno molto sfruttato della “plebe napoletana”, ma senza l’ispirazione lirica, chessò, di una Anna Maria Ortese. Capace di essere spietata e di frasi come questa: “Commuoversi è come addormentarsi sulla neve”. I toni si fanno invece grotteschi e patetici. La povera e semplice famiglia di Lila, l’amica geniale, per esempio, l’enfant terrible, a un certo punto del libro risulta essere quella che ha preso più libri in prestito dalla biblioteca di quartiere. Ma naturalmente nessuno sapeva leggere a parte lei e dunque li aveva letti tutti lei prendendoli in prestito a nome dei familiari per via dei limiti nelle richieste. Oltre che a una quadrilogia, L’amica geniale ha dato pure luogo a un deteriore filone di libri imitativi. Le amiche delle amiche geniali (definizione di Mario Portanova).

Fonte: Il Sole 24 Ore