Fondi di private equity a caccia di reti, i dossier Fineco e Banca Generali

Fondi di private equity a caccia di reti in Italia. È da tempo che il mondo dei capitali privati guarda con attenzione al settore ma, a quanto risulta, in questi mesi lo studio sarebbe stato particolarmente approfondito. Al punto che sarebbero state valutate una serie di operazioni nel wealth management con l’intento di provare a mettere assieme i pezzi centrali di questo segmento di business.

La propensione al risparmio

Punto di partenza di questa riflessione approfondita che avrebbe portato almeno tre operatori – in particolare si tratterebbe di Bain, Cvc e Advent – a studiare alcuni dossier, sarebbe lo stato di salute del settore in Italia dove la propensione al risparmio, sebbene in calo in questi anni difficili, intaccati pesantemente da fenomeni inflazionistici e da scenari di guerra, resta comunque solida (secondo l’Acri il 68% di quel 50% di italiani che è riuscito a risparmiare ha sacrificato la propria qualità della vita pur di accrescere il proprio patrimonio). Senza contare che in prospettiva si può puntare a una crescita trainata anche da potenziali scenari di consolidamento.

FinecoBank

Per queste ragioni, almeno inizialmente, sarebbe finito nel mirino un asset preciso, tra i fiori all’occhiello del risparmio gestito italiano, ossia FinecoBank. Da tempo la banca è oggetto di interesse diffuso e gli ultimi sviluppi di business non avrebbero fatto altro che aumentarne l’appeal. La doppia anima di Fineco, ossia investing e brokerage, rende infatti l’istituto un avamposto ideale per leggere le dinamiche comportamentali delle famiglie italiane rispetto alle strategie di risparmio. Il che evidentemente facilita al contempo il lavoro della fabbrica prodotto. A ciò si aggiungono risultati in ascesa, con un primo trimestre in crescita sia sul fronte dell’utile (+12,4% a 147 milioni) che dei ricavi (+11,4% a 327 milioni). Comprensibile quindi che sia guardata da molti con estrema attenzione. Tuttavia, come ha sottolineato l’amministratore delegato Alessandro Foti in una recente intervista, «comprare una banca come la nostra non è come comperare una pizzeria». E questo per tante ragioni, a partire dalla questione della licenza bancaria e delle dimensioni e, non ultimo, l’assetto azionario. La banca è di fatto una vera e propria public company, senza soci di riferimento con cui sedersi al tavolo per ragionare sul destino dell’asset.

Le mosse di Zurich

In questi mesi, a tal proposito, risulta che anche Zurich abbia tentato un abboccamento con Fineco, con l’intento, sul modello Allianz, di costruire una sorta di accordo di bancassurance a valle di un ingresso nel capitale con una quota di minoranza. Questo per potere affiancare alle reti agenziali italiane e a quelle dei promotori (ha rilevato Deutsche Bank Financial Advisors) la capillarità distributiva della banca. I colloqui sarebbero però poi stati interrotti.

Banca Generali

Nel mentre però i fondi avrebbero aperto anche un altro dossier che, secondo fonti finanziarie, a breve potrebbe assumere forme concrete. Sarebbe infatti in fase di studio da parte di uno dei fondi un progetto su Banca Generali da sottoporre direttamente alla casa madre. Il ceo del Leone, Philippe Donnet, in passato ha spesso sottolineato l’importanza dell’asset per Trieste. Facendo però intendere che Generali potrebbe valutare una vendita se funzionale a finanziare un’operazione trasformativa. Il Leone ha in fase di preparazione il nuovo piano industriale e allo stesso modo Banca Generali stessa sta predisponendo le nuove linee guida che svelerà la primavera prossima. C’è da chiedersi dunque se il contesto, complice anche il quadro generale, sia favorevole a una simile operazione.

Fonte: Il Sole 24 Ore