Alla ricerca delle città possibili: la nuova sfida delle Triennali nelle Fiandre

Earthsea Pavillion e il palazzo dei Medici

Tra i dodici interpreti di “Spaces of Possibility” (sette architetti-designer e quattro artisti) ne abbiamo scelti sei da raccontare. Iniziamo con gli italiani Alessandra Covini e Giovanni Bellotti di Studio Ossidiana, ora di base a Rotterdam, con il loro intrigante “Earthsea Pavillion”. E’ una grande installazione cilindrica ospitata nel cortile del quattrocentesco Hof Bladelin, il palazzo simbolo della prosperità commerciale di Bruges, appartenuto anche ai Medici. Il padiglione di Studio Ossidiana è “riempito” di piante terrestri e acquatiche (pure conchiglie) ma anche fiori in forma di seme, tenuti in vita da un ingegnoso sistema di irrigazione automatico. Un’opera piena di vita, che attrae uccelli e insetti oltre che i visitatori. Idealmente unisce terra e acqua, storia e natura, ed è destinata a cambiare volto assieme al mutare delle stagioni.

La goccia vuota giapponese

Per la loro “Empty Drop” (primo progetto al di fuori del Giappone), Shingo Masuda e Katsuhisa Otsubo Architects hanno invece scelto un “non spazio” nel parco dell’Ospedale di San Giovanni, il più antico d’Europa. Il progetto è legato alla cultura giapponese ma anche alla densità urbanistica della Bruges medievale. E si traduce in un’opera aperta, geometrica, fatta di mattoni, celebrazione del vuoto da riempire. «Una provocazione che ha avuto successo, perché la loro “goccia vuota” è diventata un nuovo punto di incontro in cui la gente si appropria dello spazio – come sottolinea Shendy Gardin – . La funzione è quella di creare connessioni, giocando con il concetto del libero, del vuoto, dello spazio da inventare».

La strada ritrovata

Con “Under the Carpet” il belga Adrien Tirtiaux, architetto e ingegnere, ci porta a riscoprire la strada di collegamento (ora scomparsa) tra l’Ospedale di San Giovanni e la Clinica Minnewater in città. Da vero “archeologo urbanistico” Tirtiaux ha riportato alla luce la vecchia arteria, cruciale per secoli e poi chiusa negli anni Settanta, rivelandone le connessioni. L’opera inizia all’imbocco della strada scomparsa con una lingua vegetale che s’innalza tra architetture neogotiche e si conclude dall’altra parte dove troviamo una piattaforma ondulata.

Grani di Paradiso vicino al Lago dell’Amore

Vicino al famoso Lago dell’Amore di Bruges, la sudafricana Sumayya Vally ha poi creato l’incredibile “Grains of Paradise”: 14 piroghe ancorate al Ponte Minnewater per celebrare lo splendore commerciale di Bruges nella sua età d’oro medievale, con le importazioni di merci anche dall’Africa. Le barche sono state riempite di piante ed erbe, comprese le spezie allora arrivate dal Golfo di Guinea, in particolare il pepe melegueta (Afromomum legueta), che nelle Fiandre chiamavano paradijskorrel, “grani di paradiso”, per le sue proprietà medicinali e per il gusto inconfondibile. L’invito è quello di trascendere la cultura occidentale per riflettere sul tessuto urbano in modo critico. E senza confini.

Gli stivali surrealisti

Ivàn Argote, colombiano che vive a Parigi, propone la surrealista “Who?”: un paio di stivali di bronzo del XV secolo (l’età d’oro di Bruges) che come in una fiaba emergono dai canali dello Speelmanrei. Chi era la figura storica di cui sono rimaste le calzature? Era un personaggio famoso? Che fine ha fatto? Quella di Argote è una riflessione centrata sulla visibilità negli spazi pubblici, sul non finito. E sulla ricerca di identità. Ma c’è anche tanta ironia sul tradizionale storytelling urbano, fatto di monumenti di re, papi e imperatori.

Fonte: Il Sole 24 Ore