Tra ristoranti, teatri e librerie creator ibridi oltre gli schermi

Al Lumi, ristorante di lusso con cucina giapponese dello chef stellato di fama mondiale Akira Back, non avrebbero mai immaginato una tale risposta da parte della loro clientela. Eppure quel brunch con associato il listening party, ossia un evento di ascolto musicale dedicato a Taylor Swift, sarebbe stato preso d’assalto e avrebbe raggiunto il sold out in pochi minuti. L’intuizione geniale è stata quella di legarsi al tour della cantante con tappa a San Diego. Siamo a Gaslamp, uno tra i quartieri più alla moda della downtown della città californiana. Un menù imperdibile per i fan: antipasti a partire da 13 dollari in omaggio al numero preferito della star. E ancora cocktail col nome dei suoi gatti. Il tutto accompagnato da una sola colonna sonora composta dalle hit remixate di Swift. «Siamo stati presi d’assalto online e dal vivo e nel giro di poche ore abbiamo esaurito tutte le scorte. È stato un ottimo modo per incrementare il business. Pensavamo che il brunch attirasse clienti abituali, ma ha portato principalmente fan di Swift che non erano mai stati da noi», ha dichiarato a Euronews Katie Bosworth, direttrice marketing di Rmd Group, proprietaria di Lumi.

Business trasversali

In fondo quello che è successo al Lumi riflette un fenomeno che gli analisti americani stanno studiando da qualche tempo. Lo chiamano Swift economy o anche Swiftonomics: è l’impatto economico di tutta la filiera allargata che fa riferimento alle performance della cantante diventata icona mondiale e che ha stregato anche Milano lo scorso weekend. Un business trasversale che passa dai social alle esperienze dal vivo senza soluzione di continuità. Insomma, si va oltre gli schermi degli smartphone verso acquisti che rafforzano tutta l’economia locale. Così la microeconomia di Swift raggiunge tutti gli angoli d’America e interessa trasversalmente le varie fasce d’età. La Federal Reserve Bank di Philadelphia, nel suo rapporto, ha rilevato che la tappa dell’Eras Tour ha rappresentato un tesoretto per l’industria turistica. Secondo i dati della Us Travel Association i fan della Swift spendono in media 1.300 dollari in biglietti, viaggi e abbigliamento per assistere a una delle date. Una cifra che eguaglia il SuperBowl. Nel complesso i suoi concerti hanno generato un impatto per l’economia americana di cinque miliardi di dollari, ma alcuni analisti lo stimano in dieci miliardi. «Se Taylor Swift fosse un’economia, sarebbe più grande di quella dei 50 Paesi», ha scritto sul New York Times Dan Fleetwood.

Ricette per tutti i canali

Dall’online all’offline, andata e ritorno. Non è un caso isolato. Quella che emerge in questi mesi è l’anima ibrida dei creator che sanno andare oltre gli schermi. In America i tiktoker che hanno proposto le ricette più virali sono stati ingaggiati qualche tempo fa per il servizio TikTok Kitchens: i fan possono ricevere il piatto direttamente con il servizio di delivery. Ma la tendenza a ibridare i canali è pervasiva: ricette, eventi, viaggi. Così la creator economy – e di riflesso anche le campagne delle marche – dai social vira verso contesti e canali differenti approdando in libreria, a teatro, nei punti vendita, per strada. Per i brand è l’ulteriore allargamento della strategia omnicanale che rappresenta una rivoluzione degli spazi di relazione. In fondo siamo sempre più connessi, ma anche più ibridi nelle nostre esperienze. «La connessione pervasiva e la diffusione di dispositivi mobili hanno ovviamente ridotto i confini tra online e offline. Le esperienze digitali sono diventate estensioni naturali delle nostre attività quotidiane, creando una continuità che permette di passare agevolmente da un contesto all’altro. Questo fenomeno è alimentato dall’interesse dei consumatori per esperienze interattive e sempre più personalizzate che rispondono alle loro esigenze in tempo reale, creando un ecosistema in cui online e offline si rafforzano reciprocamente», afferma Riccardo Milanesi, docente di transmedia storytelling alla Scuola Holden di Torino e all’Università La Sapienza di Roma.

Il nuovo posizionamento

Per brand, agenzie e creator l’omnicanalità è posizionarsi su una pluralità di piattaforme. «Bisogna adottare un approccio olistico integrando strategie digitali e fisiche per offrire ai consumatori un’esperienza sempre coerente. Questo implica l’uso sinergico di social media, siti, applicazioni, negozi fisici, eventi e altri punti di contatto per coinvolgere il pubblico. Tutto ciò permette di ampliare la portata e di interagire con diversi segmenti di pubblico, rispondendo ai loro comportamenti e preferenze specifiche. La diversificazione dei canali consente di limitare i rischi e di sfruttare le potenzialità di ciascuna piattaforma per massimizzare la forza del messaggio e della campagna», precisa Milanesi. Ma attenzione. È fondamentale garantire la coerenza del messaggio e l’identità del brand su tutti i canali. «Ogni punto di contatto deve offrire un’esperienza utente di alta qualità, adattata al contesto specifico ma riconoscibile come parte di un’unica narrazione. La raccolta e l’analisi dei dati sono cruciali per comprendere le preferenze del pubblico, permettendo di ottimizzare le strategie», dice Milanesi. Intanto la nuova frontiera è legata alla transmedialità, che permette di raccontare storie attraverso diversi media, offrendo una narrazione totale. «Per fare transmedialità è fondamentale avere una visione chiara e coesa della storia da raccontare, sviluppando contenuti specifici per ogni piattaforma che possano integrarsi come le tessere di un mosaico. Qualche consiglio: l’uso di elementi interattivi, la gamification e la creazione di contenuti che vengono facilmente condivisi e ampliati dagli utenti», conclude Milanesi. In fondo per le organizzazioni la ricetta vincente è sempre quella: favorire partecipazione e generare engagement.

Fonte: Il Sole 24 Ore