Visto sulle dichiarazioni dei redditi, legittima la riserva agli iscritti agli Ordini professionali

Per la Corte costituzionale è legittima la riserva sull’attribuzione del visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi e Iva stabilita per i commercialisti e gli altri professionisti iscritti agli Ordini che sono individuati tra quelli in grado di poter apporre il visto. La sentenza 144/2024 della Consulta (presidente Barbera, redattore D’Alberti) depositata il 23 luglio dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato a fronte del ricorso presentato dall’associazione dei trubutaristi Lapet sull’articolo 35, comma 3, del Dlgs 241/1997 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni).

Le garanzie

Ad avviso dei giudici costituzionali «la scelta operata dal legislatore non è sproporzionata, in quanto una disciplina meno restrittiva, che consentisse il rilascio del visto di conformità a chiunque presti liberamente consulenza fiscale, non offrirebbe le medesime garanzie di attitudine, di affidabilità e di sottoposizione dei professionisti a controlli stringenti, che possono condurre alla sospensione o alla cessazione della loro attività».

L’esercizio dei poteri di controllo

Nelle motivazioni la Corte costituzionale sottolinea anche che è «da considerare il rilevante interesse pubblico correlato al rilascio del visto di conformità, che non si risolve nella mera predisposizione e trasmissione delle dichiarazioni o nella tenuta delle scritture e dei dati contabili, ma è diretto ad agevolare e rendere più efficiente l’esercizio dei poteri di controllo e di accertamento dell’amministrazione finanziaria, con assunzione della relativa responsabilità (si pensi, ad esempio, alla corretta determinazione degli oneri detraibili collegati al cosiddetto “superbonus edilizio”)». Di conseguenza, sottolinea la pronuncia 144/2024, non è «irragionevole abilitare al rilascio del visto i professionisti iscritti a ordini, che, avendo superato un esame di Stato per accedere agli albi ed essendo soggetti alla penetrante vigilanza degli ordini anche sul piano deontologico, sono muniti di particolari requisiti attitudinali e di affidabilità, a garanzia degli interessi dell’amministrazione alla corretta esecuzione dell’adempimento».

Sotto questo profilo, continua la Consulta, è evidente «non già la conformità della disposizione censurata a un generale principio di preferenza dell’ordinamento per le professioni ordinistiche, ipotizzato dal rimettente, bensì il rapporto tra le scelte operate dal legislatore» e «le esigenze di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione».

Le prime reazioni dei commercialisti

Il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti Elbano de Nuccio saluta con favore la sentenza, ricordando che proprio il Conisglio naizonale da lui presieduto «ha difeso strenuamente il ruolo dei propri iscritti e quindi la funzione e le prerogative delle professioni ordinistiche, che non possono essere confuse e in alcun modo equiparate a quelle di associazioni a carattere professionale». Poteri, funzioni e prerogative degli Ordini professionali spono «più estesi ed effettivi di quelli esercitati dalle associazioni previste dalla legge n. 4 del 2013 – spiega il presidente dei commercialisti italiani –, in quanto sottoposti a diretta vigilanza da parte di organi statali e corredati da incisive potestà disciplinari nei confronti degli iscritti, che possono determinare, tra l’altro, la sospensione o la radiazione, con conseguente impossibilità (temporanea o definitiva) di esercitare legittimamente la professione, e quindi tutte le attività per cui è richiesta l’iscrizione all’albo. A ciò va aggiunto che il legittimo accesso agli albi presuppone il superamento di un apposito esame di Stato diretto alla verifica dei requisiti necessari per l’esercizio della professione, non previsto per l’iscrizione alle citate associazioni».

Fonte: Il Sole 24 Ore