L’arte digitale si mette in gioco per riaccendere la speranza

In un’epoca di grandi trasformazioni globali, la speranza si rivela un elemento essenziale per affrontare le incertezze e le sfide del nostro tempo; non solo alimenta la capacità di adattamento di fronte ai cambiamenti, ma funge anche da catalizzatore per l’azione collettiva, ispirando visioni di un futuro migliore e sostenibile. La speranza può rivelarsi una risorsa cruciale non solo a livello individuale, ma anche sociale, permettendo alle comunità di mobilitarsi verso obiettivi comuni e di costruire resilienza in un mondo in continua evoluzione. Nei processi di ibridazione culturale, l’essere umano sembra incarnare la figura del funambolo descritta da Nietzsche, un’esistenza sempre in bilico «in uno spazio intermedio tra un futuro che non può essere garantito e un ritmo frenetico di progresso che cerca un futuro» (Braidotti, 2008).

Scienza e riscaldamento globale

In questo contesto, che attraversa le trasformazioni postantropologiche, le arti digitali e le innovazioni tecnologiche possono tracciare percorsi in cui esplorare opportunità alternative, risvegliare la coscienza e incoraggiare il dialogo. La creatività può contribuire così a rafforzare il tessuto sociale e a promuovere spazi di cambiamento possibili. È questo uno degli obiettivi del festival Ars Electronica di Linz (4 – 8 settembre 2024) che propone come titolo “Hope – who will turn the tide”. A scuotere le coscienze di fronte a sentimenti di disagio e di angoscia è l’opera “Smoke and Mirrors” di Beatie Wolfe (Gran Bretagna), una visualizzazione che mette in evidenza la tensione sempre crescente tra i fatti scientifici sul riscaldamento globale e le posizioni ideologiche negazioniste. Il video diffonde i dati di sei decenni sul clima e si sofferma sull’aumento dei livelli di metano confrontati con gli slogan pubblicitari delle grandi compagnie petrolifere per “negare, dubitare e ritardare” le informazioni climatiche.

Ricordare con l’Ai

Ma la speranza, come ribadisce Gerfried Stocker, direttore artistico di Ars Electronica, non deve essere intesa «come una situazione passiva, ma come una forza attiva che ci motiva ad andare avanti nonostante le avversità». Ne è esempio l’opera “Washed Out ‘The Hardest Part’” di Paul Trillo (Usa), un invito a lasciar andare una persona amata, coltivando la speranza di continuare a sognarla anche dopo la morte. È il primo video musicale realizzato con Sora, il modello di intelligenza artificiale generativa text-to-video sviluppato da OpenAI. La storia racconta i momenti più importanti di una coppia, dalla scuola media fino all’aldilà. L’artista si è affidato alla logica onirica di Sora per esplorare ricordi che non sono mai esistiti: le scene sembrano scorrere senza interruzioni con figure umane, paesaggi e oggetti che si fondono e si deformano, sfumando i confini tra realtà e fantasia.

Le connessioni tra tecniche e tecnologie differenti per tramandare e valorizzare antiche culture, sono alla base dell’opera “Nosukaay” di Diane Cescutti (Francia). Si tratta di un’installazione interattiva che riproduce una macchina tessile, una forma ibrida tra un computer e un telaio dell’Africa occidentale. In uno schermo, la divinità Nosukaay racconta una storia che mette in evidenza i legami tra computer, la conoscenza della tessitura Manjak e la matematica: lo spettatore può partecipare alla narrazione, utilizzando il pagne Manjak come una vera e propria tastiera.

Prospettiva biocentrica

Anche nel progetto di bioarte di Amir Bastan (Irlanda) e Noor Stenfert Kroese (Olanda) si crea una coesistenza tra mondi lontani, una sorta di dialogo tra funghi reishi e un sistema robotico. “Zoe” è un ecosistema in cui natura e tecnologia si prendono cura l’una dell’altra e si influenzano reciprocamente attraverso tecnologie di rilevamento. Mettendo in evidenza le nuove dinamiche di relazione tra ambiti disciplinari diversi, “Zoe” è uno dei linguaggi che dimostrano come il concetto di arte stia mutando rapidamente e di come la creatività possa svilupparsi anche su delicati equilibri in una prospettiva biocentrica.

Fonte: Il Sole 24 Ore