Madre di silenzi e appassionate conversazioni

Ne erano maestri i fratelli Paolo e Vittorio Taviani, nella loro casa a metà della costa sopra il mare di Lingua o come ospiti benvoluti di tante altre terrazze, come quella di Lella Artesi, a Leni, giovane regista e moglie del medico condotto dell’isola, quando a metà degli anni 70, nelle case di Leni, ci si scambiavano parole appassionate di politica e cultura, ci si innamorava e si giocava a sperare in un’adultità migliore. Ubriacandosi di malvasia ambrata e dolce. Il nome del paese, d’altronde, viene da “lenoi”, in greco il torchio per pigiare l’uva, adesso simbolo nello stemma del comune. Tutto si tiene, in un circuito di malinconie ed emozioni.

Ecco, Salina è un’isola di conversazioni. E di silenzi intensi, mentre si guardano le stelle cadenti, man mano che ci si avvicina alla notte d’agosto di San Lorenzo e ci si ritrova insieme, occhi negli occhi, ad assaporare il piacere sottile delle parole non dette.

L’isola madre si può raccontare scorrendo un “picciol libro” di nomi femminili, Clara e Martina, Marina e Lucia, Sonia e Annunziata, Valeria e Maria.

Le donne che nel corso di più d’un secolo hanno tenuto insieme le famiglie private dell’energia degli uomini emigrati nelle Americhe o ancora più lontano, in Australia, per cercare lavoro e fortuna dopo la crisi scatenata, alla fine dell’Ottocento, dalla filossera che distruggeva le viti. Le donne imprenditrici, che nel tempo hanno ricominciato a coltivare vigneti e distese di capperi, organizzato l’artigianato, gestito commerci e aperto alberghi, librerie e putìe di moda e gioielli, governato un paese da sindaci e assessori, accolto e istruito altre donne arrivate nell’isola dai paesi arabi del Mediterraneo, rianimando così contrade altrimenti destinate all’abbandono. Le donne che riscoprono antiche ricette e le fanno diventare modernissime, rielaborando i sapori dell’estratto di pomodoro, delle minestre di verdure, del pane di grano dorato, dei totani appena pescati e cucinati in umido e dei conigli in agrodolce, del vino inebriante, come se si tornasse ai banchetti ospitali dell’Odissea.

Cos’è, dunque, questo mare che si muove tra isole? «Il Mediterraneo è mille cose al tempo stesso. Non il paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma una successione di mari. Non una civiltà ma più civiltà ammassate l’una sull’altra», come ci ha insegnato Fernand Braudel, storico luminoso. E Predrag Matvejevic, che sapeva scrivere di storia come fosse poesia: «Il Mediterraneo è un crocevia. Da millenni tutto è complicato, scompigliando la sua stessa storia». Quintessenza di diversità.

Fonte: Il Sole 24 Ore