Mettetevi comodi, qui si fa il teatro

Mettetevi comodi, prendetevi del tempo perché la mostra sul teatro nell’antichità all’Ara Pacis di Roma è un lungo viaggio, dove letteratura, costume e architettura si intrecciano, stratificandosi, in una vicenda iniziata con l’ebbrezza di Dioniso, in onore del quale in Grecia si celebravano riti che avrebbero dato origine alla tragedia e alla commedia, e arriva fino a noi. I 240 reperti da 25 enti prestatori non solo fotografano la vastità della rassegna e della ricerca che l’ha preceduta (se possibile, il catalogo arricchisce la mostra) ma sono un’immersione fra attori e autori, progetti architettonici e rovine attuali, dalla maschera in terracotta degli inizi del V secolo a.C. proveniente da Megara Hyblaea con due buchi dietro le orecchie fino alla passione di Pasolini per l’antico e a un’apertura sull’attività del teatro greco di Siracusa.

Il viaggio parte in Grecia con la tragedia, che sarebbe nata dal ditirambo, il canto per Dioniso di una voce sola alla quale rispondeva il coro, e con la commedia, originata dalle processioni falliche sempre in onore del dio e il cui nome deriverebbe da kósmos, il corteo dei fedeli. Proprio a queste origini, sulle quali comunque gli studiosi dibattono ancora, fa riferimento uno dei pezzi più preziosi della mostra: la kylix di produzione attica (560-550 a.C.) a figure nere proveniente dal Museo archeologico di Firenze con una delle rare rappresentazioni di falloforia, la processione che accompagnava il simulacro del fallo e aveva intenti propiziatori della fecondità. Era marzo-aprile il momento di queste grandi processioni che mobilitavano tutta la città: nei cinque giorni delle Grandi Dionisie Atene si fermava. C’era la processione con canti, musica e offerte ad accompagnare l’immagine di Dioniso verso il teatro (non ancora in pietra nel V secolo), c’erano i sacrifici degli animali, gran bevute e poi quattro giorni di ditirambi, commedie e tetralogie (tre tragedie e un dramma satiresco) in gara fra loro e sottoposti al giudizio dei cittadini, ennesimo esempio di democrazia. Il teatro è anche politica, fin dal suo avvio. In quei secoli fecondi che vanno dal V al II a.C., il teatro greco produsse circa 2.300 commedie, di cui ne restano solo 12 (11 di Aristofane e una di Menandro), e non diversamente successe alle tragedie: ai tre autori classici sono attribuite 312 opere, ma ne sono sopravvissute solo 32 (7 di Eschilo, 7 di Sofocle e 18 di Euripide). Meno male che restano capolavori come il vaso di Pronomos dal Museo Archeologico di Napoli (Atene, 400 a.C. circa). Il più importante reperto teatrale giunto fino a noi dall’antichità, scavato a Ruvo di Puglia nel 1835 e forse creato per celebrare una gara drammatica, rappresenta Dioniso su una kline abbracciato ad Arianna, Pronomos, il famoso suonatore di aulós, un attore che tiene in mano la maschera di Eracle e un corteo di undici satiri nudi in preda all’ebbrezza.

Anche in Etruria, fin dal V secolo, si svolgevano ludi nelle celebrazioni a carattere funerario. Quegli spettacoli con danzatori, musici, giocolieri vedevano l’uso di travestimenti rituali e maschere, che la mostra presenta con ricchezza fino a ricordarci, proprio a partire dai fregi di alcune tombe di Tarquinia, la presenza di “Phersu”, personaggio mascherato da cui, attraverso l’evoluzione “phersu-na”, deriverebbe il latino “persona”, usato per indicare la maschera. Ed è proprio dall’Etruria che arrivano a Roma i ludiones, chiamati, secondo Tito Livio, ad esorcizzare la peste del 364 a.C. Insieme con il contributo dalla Magna Grecia e dei popoli italici, prende così avvio il teatro a Roma. In epoca repubblicana emergono Plauto e Menandro, con i loro tipi umani e una parete di piccole terrecotte con i caratteri più vari può dare l’idea della fantasia, della ricchezza di quel movimento. Poco resta, invece della produzione della tragedia a Roma ma, superato il racconto storico della nascita ad Atene e a Roma del teatro e delle tante commistioni, la mostra dà forse il suo meglio nel racconto del dietro le quinte: gli artigiani che realizzavano le maschere, le compagnie teatrali con il dominus gregis (l’impresario, il manager), gli strumenti musicali con una sezione che presenta la ricostruzione di cetre, lire, cembali, crotali. Insomma, un vero tuffo nella quotidianità romana. Come pure l’itinerario nell’architettura teatrale. In pochi decenni a Roma sorsero il teatro di Pompeo (61-55 a.C.), per il quale viene presentato un video ricostruttivo che è più di un’immersione nelle vie di Roma e nella sua monumentalità, il teatro di Cornelio Balbo (dedicato nel 13 a.C.) e quello di Marcello, intitolato da Augusto alla memoria del nipote. Questi edifici sono solo frammenti: si calcola che nel millennio di vita del dramma antico furono costruiti circa mille teatri e odea (edifici per esecuzioni musicali).

Storia del teatro ed architettura restituiscono parole e pietre, e poi c’è il cuore di chi fa il teatro. Ballerini, musicisti, cantanti, attori, mimi e pantomimi ritrovano la voce grazie a tante stele funerarie. Licinia Selene era una choraula che accompagnava il coro (I secolo d.C.); Heria Thysbe una cantante dedita agli “a solo” durante gli intermezzi comici (II metà del I secolo d.C.); Volumnia Citeride, alla quale è dedicato un bel video biografico, era attrice, musa, concubina di Marco Antonio, di Bruto e del poeta Cornelio Gallo, e infine in fuga per scappare dall’infamia.

Arrivano da un altro tempo queste voci dimenticate, rendono umanissimo un mondo che non è solo versi e autori famosi. Da quel crogiuolo multietnico che fu l’Aquileia del III secolo d.C. ci parla anche Bassilla. Era una mima famosa coperta di gloria e applausi e la stele in lingua greca che l’attore Eraclide le dedica è un monito per sempre: «I tuoi colleghi ti dicono: sta’ di buon animo, Bassilla, nessuno è immortale».

Fonte: Il Sole 24 Ore