«La disabilità? È la vita da un’altra prospettiva, non meno ricca»

Dalla nostra inviata

Papà Vincenzo, ingegnere, e mamma Vincenza, prof. di matematica, prenderanno un aereo dopo 15 anni per lei. Meta Parigi perché Rossana Pasquino, 40 anni, la loro terza figlia, pluricampionessa di scherma, sarà in pedana da domani nelle gare di sciabola e spada ai Giochi. «È una grande gioia, un cerchio che si chiude – esordisce l’atleta – sapere che le persone che mi amano, amici e colleghi da tutta Europa verranno a tifare per me».

Il Grand Palais è sontuoso: «Che emozione già esserci. Mai nella vita avrei immaginato un’esperienza simile», confessa in questa mattina di settembre negli spazi del Villaggio. Rossana, sorriso sereno e voce morbida, è una donna di scienza, che fin da bambina si è vista fra esperimenti e provette sognando Rita Levi Montalcini. Poi, sono venuti la laurea con lode in Ingegneria chimica a Napoli, dottorato e post dottorato, la borsa Marie Curie in giro per il mondo, dal Belgio alla Grecia, al Canada: «Mi occupo di reologia, di tutto quello che fluisce – spiega con la semplicità delle persone di valore – e di ritorno da uno di questi dottorati, in una fase un po’ complicata per me, la mia amica Francesca Boscarelli, ex Nazionale di spada, mi invitò in palestra: era appena arrivata una pedana per i disabili» perfetta per Rossana che è paraplegica da quando ha 9 anni, per un infarto midollare che l’ha costretta alla carrozzina in poche ore. «Papà e mamma sono stati fantastici, mi hanno sempre invitato a fare tutto, a non pormi limiti», così lei, già campionessa di ginnastica artistica, nel 2013 abbraccia la scherma, «un mix di fisico (dovreste vedere com’è scolpito il busto di Rossana, ndr), tecnica e tanta testa, come una serrata partita a scacchi». Arrivano i primi risultati, Coppe del mondo, campionati europei (appena vinto sia nella sciabola sia nella spada) e mondiali e i Giochi di Tokyo: «Già la cerimonia di mercoledì, così empatica e luminosa, è stata adrenalina pura».

Ora è tempo di competere, a partire dalla gara di sciabola, e poi quella di spada e a squadre (la parascherma in Italia conta 400 tesserati e 95 società per l’attività paralimpica), dove mettere i lunghi allenamenti all’Accademia olimpica di scherma Antonio Furno di Benevento e al Centro schermistico partenopeo di Napoli. Le avversarie sono soprattutto le cinesi e le ucraine ma i maestri Dino Meglio (per la sciabola) e Antonio Iannacone (per la spada) hanno dato le chiavi a Rossana per andare oltre. Una certa dimestichezza l’ha acquisita anche nella quotidianità per muoversi fra le sue tante vite: docente di Principi di ingegneria chimica alla Federico II, atleta, sorella, zia, da quattro anni consigliere federale in quota atleti della Federazione italiana scherma (è la prima volta che un paralimpico rappresenta sia olimpici sia paralimpici): «La vita è un passaggio in cui cercare di essere felici e vivere tutto, ho un gran bisogno di riempimento, una infinita voglia di conoscere, incontrare, mangiare attimi, viaggiare, la vita è un soffio, ci appartiene fino all’ultimo granello e non va sprecata». E lo sport, in questa sete di vita, è stato fondamentale, ha dato a Rossana un’altra identità, oltre a quella accademica: «La scherma è stata terapeutica, mi ha fatto recuperare il mio corpo e mi ha dato completezza» tanto da farle definire così la disabilità: «È la vita vista da un’altra prospettiva, non per questo meno ricca o coinvolgente: faccio ciò che volevo, solo in un’altra forma».

Le barriere non sono mancate, fin dal primo giorno di università: scalinata di accesso e zero servizi accessibili: «Ho alzato la voce, mi sono fatta sentire. Il nostro Paese ha ancora gravi lacune in fatto di accessibilità, io sono obbligata a muovermi in auto a Napoli perché non riesco a usare i mezzi pubblici, ma la stessa Napoli conta sull’attività preziosa dell’associazione Sinapsi che sostiene gli studenti disabili con supporti digitali, medici e psicologici». Tante facce di uno stesso Paese, di una stessa vita: «A casa mi hanno sempre insegnato a non lamentarmi e a trovare soluzioni per gestire i problemi», magari prendendo spunto dalla vita di Frida Kahlo. «Per me è sempre stata una grande fonte di ispirazione. Un incidente la obbligava a letto ma dipingeva usando uno specchio, faceva politica, accoglieva gli amici, amava». In una parola, viveva.

Fonte: Il Sole 24 Ore