La lezione di Gabrielzinho sulla disabilità

In Brasile, il suo Paese, lo chiamano Gabrielzinho ed è una star, anzi una rock star che ha fatto cantare la Défense Arena di Parigi e ha incantato il mondo con i suoi tre ori nel nuoto e la sua empatia, fatta di linguacce e inchini. Gabriel dos Santos Araujo è nato 22 anni fa nello Stato del Minas Gerais, terra di miniere e oro a profusione. Come quello che ha al collo per aver dominato i 200 m stile, i 50 m dorso e i 100 m dorso, categoria S2, quella delle disabilità severe. Perché è nato senza braccia, le sue gambe sono atrofizzate ed è alto 1,21 metri, lasciti della focomelia. Fa tutto, naviga sui social usando le punte dei diti dei piedi, utili anche per guidare la sua carrozzina elettrica: «Fin da bambino la mamma mi ha detto che nulla è impossibile e mi hanno fatto fare tutto».

Inseguendo il sogno della Paralimpiade

Quel tutto è iniziato in piscina. Buttato in acqua senza alcun insegnante se non il suo istinto, ha imparato a nuotare, ha iniziato a partecipare a gare e manifestazioni. Poi, per inseguire il sogno paralimpico di Tokyo 2020, dove ha vinto due ori e un argento, ha lasciato la sua città natale per poter lavorare con il suo allenatore, a 400 chilometri da casa, e ha adottato uno stile che valorizza le sue abilità residue e lo fa sembrare un delfino che cavalca l’acqua: «Non posso fare molto con il mio corpo, quindi combatto con le armi che ho e ci lavoro sopra per diventare più forte».

Balli, canti e linguacce

A Parigi ha calato un tris in acqua, ma soprattutto ha stregato i 15mila della Défense Arena che lo hanno acclamato come una star. Irriverente, in acqua ha bevuto un po’ d’acqua e l’ha lanciata in aria; sul podio ha fatto mille inchini, tenuto la mascotte stretta fra viso e spalla e mostrato la linguaccia, ballando sulle note dell’inno nazionale.

In Brasile è un personaggio da prima pagina, il mondo l’ha scoperto la sera della cerimonia di apertura quando, a bordo della sua carrozzina elettrica, precedeva i 256 atleti brasiliani con la bandiera issata sulla carrozzina e ha iniziato il suo dialogo con il pubblico proseguito in piscina. Sa di essere un totem e vuole mettere al servizio del movimento paralimpico la sua notorietà: «Vorrei che la gente smettesse di pensare che una persona disabile non è in grado di fare questo o quello. Io stesso sono qui non perché sono disabile, ma perché lavoro duramente per essere tra i migliori, se non il migliore. Non è la disabilità che ci ha portati qui».

Fonte: Il Sole 24 Ore