Passaggio generazionale nelle aziende italiane: tra eredità e innovazione

In Italia, come in molte altre culture, i mestieri e le professioni sono stati spesso tramandati di generazione in generazione, mantenendo vive tradizioni e competenze specifiche. Pensiamo agli artigiani della ceramica, soprattutto nelle regioni dell’Emilia-Romagna e della Toscana, ai viticoltori veneti, piemontesi e siciliani, ai tessitori lombardi, ai pescatori delle regioni costiere, arrivando fino ai liutai cremonesi, che di generazione in generazione hanno custodito e tramandato l’arte di produrre i violini più conosciuti ed esportati al mondo.

Nelle società basate sull’agricoltura e il possesso della terra, avere figli maschi era spesso visto come estremamente importante per una serie di ragioni culturali, economiche e sociali, tra le quali: garanzia di eredità e continuità familiare, protezione e sicurezza della famiglia, status sociale, onore e alleanze matrimoniali. Nell’antica Roma, ad esempio, l’importanza dei figli maschi era particolarmente evidente. La legge romana (patria potestas) dava ai padri il controllo legale completo sui loro figli, e il ruolo degli uomini nella trasmissione del nome e della proprietà era fondamentale. In sintesi, avere figli maschi nell’antichità era considerato cruciale per garantire la continuità, la sicurezza e il benessere della famiglia, riflettendo le strutture patriarcali e le esigenze economiche e sociali delle società antiche.

Nel mondo moderno, le aziende hanno certamente assunto un ruolo significativo nella trasmissione del sapere e delle competenze. Il panorama aziendale odierno si distingue significativamente da quello delle famiglie di un tempo, poiché le aziende moderne possono attingere a un bacino di competenze molto più ampio e diversificato, soprattutto il genere maschile non è più il solo garante della “successione”, grazie all’inclusione delle donne come protagoniste attive del mondo del lavoro (anche se, evidentemente, esiste ancora notevole resistenza in tal senso). Questa transizione riflette i cambiamenti socio-economici e tecnologici degli ultimi secoli. Ma la trasmissione del sapere non riguarda solo le competenze tecniche, riguarda anche i valori e la cultura aziendale. Le aziende moderne lavorano, o dovrebbero, per fare interiorizzare ai propri collaboratori i valori, l’etica e la cultura organizzativa.

La sfida del passaggio generazionale

Il passaggio generazionale all’interno delle aziende italiane, particolarmente in un contesto lavorativo sempre più segnato dai cambiamenti veloci e dirompenti del digitale, rappresenta una sfida significativa, una sfida da cui non ci si può esimere ma che, all’interno di un contesto di “vita veloce”, rischia di essere sottovalutato o gestito con superficialità. Ed ecco che riecheggia nella mia mente la celebre espressione “Après nous, le déluge”, “Dopo di noi, il diluvio”, che viene attribuita a Madame de Pompadour, amante di Luigi XV di Francia. La frase è spesso interpretata come un’affermazione di indifferenza per il futuro e per le conseguenze delle proprie azioni. Si dice che Madame de Pompadour l’abbia pronunciata per rassicurare il re dopo una sconfitta militare, implicando che, dopo il loro passaggio, le conseguenze non avrebbero avuto importanza per loro. Questa frase è diventata un simbolo dell’atteggiamento sprezzante e irresponsabile di coloro che non si preoccupano delle conseguenze a lungo termine delle proprie azioni e troppo spesso rispecchia gli atteggiamenti di manager senior poco fiduciosi nei confronti delle generazioni più giovani e sicuri che “ciò che hanno fatto loro, nessun altro mai”.

Va altresì detto che l’accoglienza dell’eredità dei predecessori da parte dei più giovani in azienda può variare notevolmente a seconda delle dinamiche aziendali, della cultura organizzativa, delle strategie messe in atto per facilitare il passaggio generazionale e soprattutto del modo in cui i gli “eredi” considerano “l’eredità”. Come ci insegna Massimo Recalcati, che ha affrontato il concetto di eredità in diversi contesti, “quel che conta nell’eredità è la trasmissione del desiderio (…) essa concerne le parole, i gesti, gli atti e la memoria di chi ci ha preceduti”, e ancora, “riguarda il modo in cui quello che abbiamo ricevuto viene interiorizzato e trasformato dal soggetto”. I nostri figli ereditano ciò che hanno respirato nelle nostre famiglie e nel mondo e che hanno fatto proprio. Da questo punto di vista ogni “successore” deve accogliere che il suo destino di erede è quello di essere anche orfano – erede viene dal latino heres che ha la stessa radice del greco cheros che significa deserto, spoglio, mancante, nel senso di privato dei genitori. Cosa illustra questa convergenza dell’erede con l’orfano? Diverse cose, tra le quali il fatto che il giusto erede non si limita a ricevere ciò che gli avi gli hanno lasciato, ma deve compiere un movimento di riconquista della sua stessa eredità: “ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo, se lo vuoi possedere”.

Fonte: Il Sole 24 Ore