Quanti destini che si disegnano con le nuvole

«Piove, dalle nuvole sparse» – questo lo sappiamo tutti – sulle tamerici salmastre ed arse, e chissà che esse nuvole non si radunino «in ragnatele di nubi» ove, montalianamente, si sfilaccino chiostre di rupi; o magari, le stesse nubi siano «gelide» (Quasimodo) o «insensibili» (per Saba). Poi, certo, c’è la “nugola” d’api dell’Eneide, nella versione di Annibal Caro, e il cielo che si fa «di nubi tenebroso» (Iliade nella traduzione di Vincenzo Monti); struggenti le «nuvole di pianto» di Alda Merini, e tutti in Messico, che con le nuvole ha sempre avuto una relazione molto stretta; e c’è la polvere, ovviamente fattasi nuvola, nella quale spariva sfrecciando “Nivola” Nuvolari, e peccato manchi la leggerezza eterea del cemento di Nivola. Costantino.

Le donne da sposare sono “nubili”, perché, pare, si trattava di farle “velare” (dimostrando così di sottrarle alla potestà della famiglia di origine), durante la cerimonia, con un ornamento sul capo, e poi ci sono i nembi («natar giova tra’ nembi», Leopardi, o il «nenbo» di Biagio Marin che azzecca uno dei più bei versi: «che viaso sito in siel el nuòlo…/ solo el ricordo del so svolo»), con Nembo Kid loro protettore, c’è il conte Giovanni Nuvoletti, elegantissimo, e il Sioux Nuvola Rossa, quella immancabile e persecutoria di Fantozzi e quelle di De André.

Ho pescato, un po’ a caso e un po’ no dal Piccolo dizionario delle nuvole di Gilberto Scuderi, «pensionato dal 2011», «dilettante di azioni artistiche», ex catalogatore alla Teresiana di Mantova, indefesso osservatore di nuvole, certamente cartacee e forse reali. È uno di quei libri di uno dei miei adorati editori minimi, anzi è un fuocofuochino più che mai («la più povera casa editrice del mondo») e Afro Somenzari sa bene che così doveva esser fatto questo Dizionario strambo e sfuggente. Nessuna esaustività, solo il transito di qualche cirro sulla pagina bianca, così da lasciar la voglia al lettore deliziato. Di inseguire altre «tacite chimere / simili a nubi» (Pascoli) che a noi, “viaggiatori di nuvole”, che abbiamo la ventura di averle talora in giardino nella casa di montagan, non può che (far) piacere.

Del resto, “lessico e nuvole”, come sa Bartezzaghi, sono sempre andati d’accordo, perché nulla è più metaforico di una lingua o di una vita, di un’esistenza in costante trasformazione come nuvola che passa ed è impossibile, inutile, seguirla in tutte le sue evoluzioni, tanto più che appare diversa a ciascun che la rimira. Solo al sommo Paolo Conte poteva venire in mente di dichiarare che «quadrata ogni nuvola sarà» mentre si punta il naso verso Nord (canzone che intriga, da sempre, nel più bell’Lp non solo suo ma del secolo trascorso, Appunti di viaggio, otto pezzi letteralmente miracolosi, andate a controllare) e tanto mi è cara quella edizione suprema che Gio Ponti e Vanni Scheiwiller ordirono insieme nel fantasmagorico Nuvole sono immagini (1967, tremila esemplari; ben più degli 11 numerati di fuocofuochino, oltre, si capisce, a IX prove dell’editore, io ho la VIII); poema che dimostra ancora una volta di più l’eclettismo pontiano. «Nuvole ci chiamano»… «collana di nuvole»: andrebbe ristampato seduta stante.

Come, per fortuna, è accaduto qualche tempo fa al più importante trattato sul tema, ovviamente il Nuvolario di Fosco Maraini (e così ho nominato tutti i miei santi protettori, e altrettanto ovviamente allora ci metto ora anche Bruno Munari, che le nuvole se le faceva da sé stesso, come l’opera «Concavo-convesso» con la quale gioca nella fotografia pubblicata sulla «Civiltà delle Macchine» nel 1953; e Saul Steinberg, che le nuvole le ha disegnate in tutte le salse, compresa, vertigine filosofica delle sue, con le impronte digitali, inducendo così una numinosa identificazione), ripreso dalla Nave di Teseo, con belle nuvole di convolvoli ricciuti in copertina di Pericoli.

Fonte: Il Sole 24 Ore