La lingua si degrada? Il mondo si restringe
«Il trauma è come un seme, se lo seppellisci, se lo metti sotto terra, germina». Mette radici. La sala del Palazzo Vescovile di Mantova (dove oggi è ancora in corso il Festivaletteratura) è piena: sono quasi tutte donne, ad ascoltare le parole della scrittrice, attrice, cantautrice Saba Aglana, tagliare l’aria. Con Maaza Mengiste, autrice del memorabile Il re ombra (Einaudi), romanzo sulle donne etiopi che combatterono contro i fascisti durante la guerra d’Etiopia – e pure contro gli uomini, anche compatrioti, che le stupravano – Aglana parla del «passato che non è passato»: «La memoria coloniale mai risolta, nemmeno nei libri scolastici. Il passato che non passa spinge a scrivere, a fare ricognizione di ciò che è stato». Lei l’ha fatto in La signora meraviglia (Sellerio), sorta di memoir multigenerazionale che prende il nome da come una parte della sua famiglia, mezza italiana mezza somala-etiope, chiama la cittadinanza italiana, che la protagonista cerca di far ottenere alla zia, vissuta in Italia per la gran parte della sua vita. «Noi parliamo di quel che è stato per cercare una pacificazione nel presente», ha affermato Aglana. «Quando il dolore si trasforma in un’idea perde il potere di ferirci» le risponde, da un altro palco, Deborah Levy, conversando sul suo Autobiografia in movimento (NN editore), in cui analizza il ruolo della donna nella società contemporanea.
Sul trauma si è espressa anche Marilena Umuhoza Delli, autrice di Lettera di una madre afrodiscendente alla scuola italiana. Per un’educazione decoloniale, antirazzista e intersezionale (People): «Come vive un bambino razializzato? Vive in un continuo di microaggressioni e aggressioni da parte della società, per non parlare di quelle istituzionali. A scuola non mi vedevo mai rappresentata, mai nei libri c’era qualcuno come me. La prima volta in cui mi sono vista è quando ci hanno parlato della schiavitù. Tutto questo porta bassa autostima, scarsa fiducia nel prossimo, depressione che può sfociare nel suicidio. Le ragazzine devono anche subire gli sguardi predatori degli uomini, che la associano a una prostituta. Come effetto si possono generare anche problemi di peso, come li ho avuti io: volevo essere invisibile, sparire».
Ha probabilmente deciso di sparire per sempre il figlio omosessuale della protagonista di Madre (Playground), un romanzo di Goldie Goldbloom. L’autrice riesce a essere nello stesso tempo attivista per i diritti delle persone Lgbtqia+ e membra osservante di una comunità ultraortodossa americana di fede ebrea chassidica: «Non sta scritto da nessuna parte nei testi sacri che non puoi amare, che ti è proibito amare. Per quel che mi riguarda mi dà molta gioia la mia religione. C’è gioia nel legame con la comunità, con la mia famiglia, nel rispettare le nostre tradizioni, nel celebrare le feste insieme. Ma c’è anche gioia nel cercare una vita migliore per i giovani». Goldbloom ha 8 figli e si è occupata dei ragazzi del suo gruppo: «non possiamo continuare a infliggere ai giovani il danno di non potersi esprimere».
Non potersi esprimere è un danno, non sapersi più esprimere è un danno forse ancora maggiore: «Stiamo per affrontare una gravissima degradazione del linguaggio, a causa dell’intelligenza artificiale e in generale della tecnologia. Il linguaggio segna i limiti del nostro mondo, del nostro possibile. E quindi se il nostro linguaggio si degrada, anche il nostro mondo si restringe», ha affermato Olivia Laing, autrice di Il giardino contro il tempo. Alla ricerca di un paradiso comune (Il Saggiatore). E, con il nostro mondo, si restringono anche le nostre democrazie, aggiungiamo noi, con in mente 1984, di George Orwell.
Fonte: Il Sole 24 Ore