L’Ue non cede sui dazi, ecco come le cinesi Geely e Chery provano ad aggirarli

I nuovi dazi imposti dalla Commissione europea sull’importazione di auto elettriche dalla Cina spingono le case orientali a investire in impianti produttivi nel Vecchio continente. Hanno aperto la strada il colosso ormai numero uno globale Byd (se si contano auto a batteria e ibride plug-in), con un accordo in Ungheria per un impianto attivo da inizio 2027, e Chery, da 21 anni primo esportatore di vetture made in China (ormai poco meno di un milione all’anno), che ha avviato una jv in Spagna simile all’operazione DR in Italia: auto con parti di fabbricazione cinese assemblate e marchiate da Ebro-EV Motors. Ora si stanno facendo avanti altri player di primo piano come Geely (primo gruppo privato cinese e secondo per vendite, controlla Volvo, Polestar, Lynk & Co e Lotus) e la stessa Chery per un sito in cui realizzare auto dei propri brand Omoda e Jaecoo, che avrebbero venduto in tutta Europa 150mila unità tra gennaio e agosto.

Chery vuole conquistare l’Europa in tre anni con Omoda e Jaecoo

«Non siamo ancora sicuri al 100%», ha commentato Li Chuanhai, vicepresidente di Geely Auto Group, durante un’intervista all’agenzia Reuters a Francoforte. Nicolas Appelgren, numero uno per l’Europa del brand Lynk & Co, ha confermato che Geely sta cercando siti adatti in tutta Europa. Il gruppo fondato da Li Shufu ha solide radici nel Vecchio continente, visto che, oltre a controllare Volvo, detiene il 10% delle azioni del gruppo Mercedes-Benz (con cui ha una jv al 50% per la produzione delle Smart in Cina), il 17% di Aston Martin ed ha una importante jv con Renault (”Horse”) per la produzione di motori a combustione interna, ibridi e a basse emissioni.

Quanto a Chery Auto, è pronta a investire miliardi di euro per conquistare il mercato europeo con Omoda e Jaecoo entro tre anni, come ha dichiarato a Reuters il responsabile dei due brand per il mercato italiano, Kevin Cheng. Lo stesso Cheng ha sottolineato che la sudcoreana Kia ha impiegato quasi 20 anni per affermarsi in Europa. «Il nostro obiettivo è raggiungere lo stesso risultato entro tre anni». Il governo italiano è in trattative con Chery e altri produttori automobilistici cinesi, tra cui Dongfeng Motor, per attrarre investimenti produttivi nel paese. Ma Chery sta anche considerando l’Europa orientale come opzione per un secondo stabilimento.

La Commissione europea ha proposto un dazio aggiuntivo del 20,7% sulle auto Chery come parte del suo regime tariffario sui veicoli elettrici prodotti in Cina. «È una sfida, ma produrre auto in Europa ci aiuterà a evitare i dazi», ha commentato ancora Cheng. Tra i produttori cinesi più colpiti Byd, Saic e Geely, con tariffe doganali tra il 17% e il 36,3% da aggiungere al 10% già in vigore.

Pechino avvisa su fabbriche all’estero: proteggere la nostra tecnologia

I progetti di Geely e Chery dovranno fare i conti con le direttive di Pechino. In un recente incontro, il ministero cinese del Commercio ha ammonito le case nazionali circa i rischi legati agli investimenti all’estero. Durante una riunione tenutasi all’inizio di luglio, il ministero ha esortato i produttori locali a non investire in India. Ha inoltre «sconsigliato vivamente» investimenti in Russia e Turchia. Ma il colosso Byd – che ha appena alzato il proprio obiettivo di vendite a 4 milioni contro i 3 dell’anno scorso – è reduce da un maxi accordo proprio con Ankara. Meno perentorio il tono riguardo ai rischi legati a nuove fabbriche in Europa e Thailandia. Particolare non da poco, il ministero cinese del Commercio ha incoraggiato l’utilizzo di stabilimenti all’estero per l’assemblaggio finale di veicoli con componenti esportati dalla Cina. In prima istanza per cautelarsi da rischi geopolitici ma anche (tesi riportata da agenzie internazionali, non confermata) per evitare che i segreti delle tecnologie cinesi in materia di auto elettriche possano essere carpiti.

Fonte: Il Sole 24 Ore