Lavoro, record di occupati ma l’Italia rincorre i risultati Ue

L’analisi dei dati

«Diciamo – spiega Stefano Scarpetta, direttore per il lavoro, l’occupazione e le politiche sociali dell’Ocse – che la flessione dei salari reali ha riguardato tutti i Paesi del G7 tranne la Francia. Il dato italiano è più marcato perché negli altri Paesi i contratti sono stati rinnovati prima che da noi». A questo deve poi aggiungersi il fatto che in Italia i salari scontano un sostanziale immobilismo da circa trent’anni. «Gli altri Paesi hanno inoltre un salario minimo – aggiunge – che in situazioni di crescita repentina dell’inflazione ha in qualche modo protetto i lavoratori a basso reddito».

Oltre ai salari, anche la questione femminile sembra avere nel caso italiano connotazioni specifiche. Il punto di partenza è positivo: il trend è in crescita, in linea con il resto dei Paesi europei. Tuttavia, fa notare ancora Stefano Scarpetta, «ci sono ancora pochissime zone, tra le quali le province autonome di Trento e di Bolzano, che hanno un tasso di occupazione femminile al di sopra della media europea, mentre al contrario ci sono diverse regioni, soprattutto quelle del Sud, in cui il divario è ancora enorme». A questo si aggiunge un altro elemento: se in quasi tutti i Paesi nella fascia di età compresa fra 30 e 40 anni, quella cioè in cui si può immaginare si che opti per la genitorialità, si apre un gap tra l’occupazione femminile e quella maschile che poi si ricompone più avanti, in Italia questo gap non si richiude più. «In Italia, cioè, se una donna esce dal mercato del lavoro, successivamente non vi rientra. Allora il vero problema non è aiutare le famiglie a fare più figli, perché questa è una scelta che non si può imporre, ma invece aiutarle a conciliare vita personale e professionale».

Un’altra grande criticità con la quale l’Italia deve fare i conti è, secondo Stefano Scarpetta , quella del capitale umano, o meglio degli scarsi investimenti in formazione iniziale e formazione degli adulti è un problema annoso. «Siano al 41esimo posto dei 42 paesi per cui abbiamo dati sulla spesa per istruzione e la spesa per la formazione continua e scarsa, anche se il GOL e le nuove misure mirate vanno nella buona direzione», spiega.

Numeri che non possono non avere implicazioni sulle potenzialità di crescita del nostro Paese. I dati dell’indice Ocse Pisa sulle competenze dei tredicenni sono preoccupanti: siamo infatti decisamente al di sotto della media europea e della media Ocse. «I risultati degli Invalsi – continua – ci mostrano uno spaccato delle conoscenze dei nostri bambini e ragazzi, a otto, dieci e tredici anni che sono raccapriccianti. In alcune regioni abbiamo tassi di analfabetismo funzionale che dovrebbero subito attivare un intervento. In alcune regioni, come la Calabria e la Sicilia, un ragazzo di 13 anni su due ha difficoltà a comprendere un testo adeguato alla sua età».

Il quadro è preoccupante perché compentenze inadeguate non producono innovazione, l’assenza di innovazione crea un contesto produttivo scarsamente innovativo, che a sua volta abbassa l’asticella della qualità nella domanda di profili. Dunque, un circolo di storture che bisognerebbe spezzare «come ad esempio ha fatto la Corea del Sud, che ha investito massicciamente o come ha fatto la Francia che non appena ha visto i risultati dell’indice Ocse Pisa che segnalavamo una flessione delle competenze dei giovani, ha subito connotato questo calo come un’emergenza nazionale», conclude Scarpetta.

Fonte: Il Sole 24 Ore