È legale registrare le presenze dei lavoratori tramite badge e smartphone

È possibile utilizzare un telefono cellulare collocato all’interno del luogo di lavoro come dispositivo per registrare ingresso e uscita dei dipendenti, al posto di un timbratore tradizionale. È quanto emerge dalla sentenza (numero di registro 423/23) con cui il Tribunale di Trento lo scorso 16 luglio ha sancito la legittimità del licenziamento irrogato a una lavoratrice che si è rifiutata di utilizzare il nuovo sistema introdotto dal datore di lavoro.

I dubbi della dipendente sul licenziamento

Per facilitare la timbratura, un’azienda ha collocato presso un cantiere due telefoni cellulari in cui è installata una applicazione specifica che consente di utilizzarli come timbratore. In sostanza ai dipendenti è stato chiesto di registrare l’inizio e la fine dell’attività avvicinando il badge personale (a cui è stato aggiunto un tag con tecnologia Nfc) al telefono cellulare.

La nuova modalità è stata oggetto di un incontro con i segretari provinciali dei sindacati e alle Rsu, a seguito del quale l’azienda ha fornito ai dipendenti una nota informativa sul funzionamento del nuovo sistema e ha invitato a fare riferimento al responsabile di cantiere qualora il singolo dipendente voglia visionare le timbrature registrate dal dispositivo.

Una dipendente ha contestato la legittimità della nuova modalità di rilevazione e si è rifiutata di utilizzarla (ha continuato a registrare entrata e uscita su moduli cartacei), sostenendo diversi profili di irregolarità rispetto a quanto disciplinato dal Regolamento europeo sulla protezione dei dati (Gdpr). Ne sono conseguiti diverse contestazioni, sospensioni e quindi il licenziamento senza preavviso.

Informazioni più precise e oggettive sul licenziamento

Il Tribunale ha rilevato sostanzialmente un solo punto critico e cioè che il datore di lavoro ha indicato quale responsabile del trattamento dei dati personali un soggetto potenzialmente diverso da quello corretto, ma che comunque ha «adempiuto esattamente» agli obblighi previsti dall’articolo 28 del Gdpr. Tuttavia, secondo il giudice, la dipendente non ha dimostrato come ciò abbia causato pregiudizio ai suoi interessi.

Fonte: Il Sole 24 Ore