La Chola Poblete in mostra al Mudec

Lo sguardo sicuro e la forza della convinzione più sincera senza ombre di infingimento. Perché in lei anche l’identità queer o le origini indigene rifuggono ogni cliché, per trasfigurarsi nell’essenza dei suoi lavori. Non stupisce che La Chola Poblete sia per Deustche Bank “Artist of the year”. Un vortice di figure e immagini danzanti e spesso terrifiche o truculente pone l’accento sulle conseguenze del colonialismo, senza mai tralasciare una critica anche aspra alla società Argentina d’oggidì; e ancora, la riflessione amara sugli stereotipi al femminile o le più controverse supremazie culturali che vorrebbero sempre soccombenti ed emarginati gli eredi degli indios nativi.

Madonne asessuate

C’è tutto questo e molto altro nella poetica di questa giovane artista così densamente contemporanea e sensuale, che nel segno di un sincretismo sopraffino si muove talentuosa tra sculture di pasta di pane ed erotici acquerelli, disegni brutali e fotografie dall’umorismo più sottile. Sgraziate e possenti le sue Madonne di pane sono asessuate e dolcemente nostalgiche al contempo, mentre i suoi grandi acquerelli sono popolati da figure che si incontrano e scontrano accostando simboli dell’iconografia cristiana a nudi dalla sessualità esibita e straniante, con i colori che colano e allungano le figure antropomorfe in una danza macabra che mescola fiori sgargianti a profili mostruosi. La religione con le sue componenti ritualizzate ha un ruolo notevole nell’opera di questa artista, e il potere evocativo del suo pantheon figurativo smonta ogni ordine precostituito e sovverte qualsiasi gerarchia, fondendo elementi autobiografici e riflessioni esistenziali in un orizzonte di critica che a momenti si fa feroce e caustica, candida e crudele.

“Guaymallen”

Premiata con un a menzione speciale dalla sessantesima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, l’artista presenta a Milano il progetto “Guaymallen”, che prende nome dalla sua città natale nel nord dell’Argentina, a Mendoza, ai piedi delle Ande.

L’artista sperimenta tutti i media, ben rappresentati in mostra: oltre alla pittura e alla scultura agisce attraverso performance, disegni, acquerelli e fotografia e la sua riflessione affronta in particolare il tema del ruolo storico di donne, travestiti e transessuali, espressioni della femminilità prese di mira o emarginate dalle strutture di potere religiose e patriarcali.

A questi temi si associa una riflessione più ampia che riguarda la posizione dell’artista nel mondo dell’arte in relazione alla sua identità (trans, indigena) e il ruolo delle istituzioni occidentali nel determinare i canoni di ciò che chiamiamo “arte”, un processo che non è solo un prodotto storico ma dipende attivamente da determinate condizioni ideologiche e post-coloniali.

Fonte: Il Sole 24 Ore