Zero Motorcycles Dsr, come va la crossover elettrica per i patentati A2

Al termine del periodo di prova della Zero Motorcycles Dsr (circa 20mila euro con garanzia di cinque anni), una decina di giorni trascorsi percorrendo strade cittadine, tangenziali e un po’ di autostrada, abbiamo avuto modo di valutare se può rappresentare oggi un’alternativa a una moto con motore termico. Spoiler: autonomia e prezzo restano due limiti consistenti.

Coppia immediata

Presentata a Eicma 2023 e sviluppata sulla rinomata piattaforma della maxienduro Dsr/X, la Dsr nasce per i possessori di patente A2, con una potenza continua limitata a 33 kW, cioè 44 cv (35 kW è il limite massimo per la A2), ma con una potenza massima di 70 cv e, soprattutto, una coppia costante di 170 Nm. La moto americana, però, è pensata per crescere con il suo proprietario. Trascorsi i due anni di guida previsti dal Codice stradale e conseguita la patente A, infatti, la Drs può essere sbloccata dal concessionario per avere tutta la potenza offerta dal motore a trazione diretta a corrente alternata a magneti permanenti Z-Force 75-10, senza dover acquistare una nuova moto: i valori salgono a quasi 82 cv e 195 Nm di coppia. Innovativa per il motore, la Dsr per il resto è quanto di più classico ci sia: telaio a traliccio in acciaio, cerchio anteriore da 19 pollici (dietro da 17”), forcella con steli da 47 mm e monoammortizzatore firmati Showa e regolabili, entrambi con escursione di 190 mm, freni J. Juan con sistema di frenata combinata di Bosch. L’intento dei progettisti americani è di realizzare una moto che risponda pienamente ai gusti dei motociclisti tradizionali; fa eccezione la trasmissione finale a cinghia, silenziosa e non bisognosa di manutenzione. In generale, materiali e assemblaggi sono di ottima qualità, senza però nulla che provochi l’effetto “Wow”.

Autonomia di 250 km

La batteria agli ioni di litio Z-Force da 15,6 kWh offre alla Dsr un’autonomia che non fa gridare al miracolo: 249 km nel ciclo urbano che scendono rapidamente se si adotta una guida sportiva o si mettono le ruote in autostrada (tra gli optional è disponibile l’aggiornamento Power Tank – circa 3.600 euro – che estende l’autonomia); in compenso si ricarica in poco meno di quattro ore. La batteria è in un alloggiamento in alluminio con alette per il raffreddamento che svolgono anche una funzione estetica. A gestire il tutto è il più recente sistema operativo Cypher III+ di Zero e integra una serie di funzioni standard, tra cui il Motorcycle stability control di Bosch, comprensivo del sistema Offroad Msc.

In sella

La Dsr è una moto di dimensioni corpose, specie se la si osserva dalla sella, alta 828 mm. Il manubrio è largo e il finto serbatoio (c’è un vano dove riporre il cavo e l’adattatore per la ricarica, più qualche piccolo oggetto) è ampio; si siede con le braccia allungate in avanti e il busto eretto, in una posizione da enduro, con l’unica pecca che lo spessore della moto tra le gambe è consistente. Il peso di 242 kg della moto (quasi 80 di batteria) si avvertono in manovra ma non troppo, perché c’è la retromarcia, utile per muovere la moto quando si parcheggia in pendenza. A proposito: in quelle occasioni si sente la mancanza del freno di stazionamento, indispensabile visto che mancano le marce. L’approccio alla guida di una moto elettrica come la Dsr richiede un reset mentale, a partire dall’assenza di leva e pedale sinistri (anche se le moto automatiche – Honda con Dct in primis – ci hanno abituato a quest’assenza) e dall’avviamento del motore, che è completamente silenzioso. L’esemplare da noi provato, con batteria carica al 100%, al primo approccio, indicava un’autonomia di 185 km, inferiore quindi a quella dichiarata; all’iniziale sorpresa, però, è seguita la spiegazione: dopo aver percorso i primi 50 km in modalità Eco per minimizzare i consumi, e in tangenziale, quindi con traffico abbondante e velocità massima di 90 km/h, l’autonomia era scesa di soli 10 km. Evidentemente, il sistema Cypher III+ aveva elaborato i dati del tester precedente, meno conservativo nella guida. Nelle successive ricariche, infatti, l’autonomia era molto vicina al dato dichiarato. Lo ammetto, però: è difficile restare conservativi con la Dsr, perché è una moto che invita a una guida sportiva. In primis, con l’effetto… Space Shuttle sulla rampa di lancio: tutta la coppia è disponibile fin dai primi millimetri di rotazione della manopola dell’acceleratore; la sensazione è di essere sparati via, specie con le mappature più “cattive” delle cinque disponibili, cioè la Sport e la Canyon, settabile a piacimento tramite la app, che affiancano le più “tranquille” Standard, Eco e Rain. In città, la Dsx è, nonostante la mole, a suo agio: con il manubrio largo ci si muove facilmente tra le auto, non ci sono vibrazioni, non arriva calore dal motore (l’abbiamo provata a luglio a 35°C e credeteci: è un notevole vantaggio rispetto a un motore termico), non si deve pensare a marce e frizione. Anche fuori città, sulle statali ricche di curve, il divertimento di guida è notevole. Come sulla Zero Motorcyles Sr che provammo due anni fa, abbiamo impostato il riding mode “Canyon”, mettendo al 100% tutti i parametri (velocità massima, potenza, coppia massima, rigenerazione folle e rigenerazione frenata). È qui che si capisce che la moto elettrica richiede l’adozione di un nuovo stile di guida. Sfruttando la frenata rigenerativa, si riesce a limitare al massimo l’uso dei freni (il posteriore ha peraltro poco mordente), e si arriva con il gas aperto fin quasi a ingresso curva: il motore pensa a frenare la ruota posteriore, svolgendo anche il compito svolto nelle moto tradizionali dal freno posteriore, cioè tenere bassa la ruota dietro, aiutando a chiudere la curva. In questo modo, inoltre, i consumi si riducono ulteriormente. Dove la Dsr mostra invece i limiti è in autostrada: non per la comodità (il parabrezza regolabile protegge molto bene e c’è il cruise control), né per velocità massima (limitata a 150 km/h) e ripresa (i sorpassi si effettuano agevolmente), ma per l’autonomia. Viaggiando a 130 km/h, infatti, il valore scende in fretta, inducendo il pilota a pensare dove trovare una colonnina di ricarica funzionante e libera, operazione al momento non così agevole (la Casa dichiara un’autonomia di 161 km a una media di 113 km/h). In conclusione, il principale limite della Dsx è proprio l’autonomia (oltre al prezzo, mediamente doppio rispetto a un pari modello tradizionale): con circa 230-240 km a disposizione, la Dsx è perfetta per il commuting quotidiano casa-lavoro, puntando sulla ricarica nel box di casa; invece, è meno indicata per le uscite del weekend o per i viaggi a lungo raggio, occasioni in cui è indispensabile pianificare attentamente le soste per la ricarica (magari acquistando il Rapid Charger da 2.500 euro che riduce a un’ora il tempo di ricarica).

Fonte: Il Sole 24 Ore