Il budget 2025, il primo scoglio del governo Barnier

Nessun aumento delle imposte…

Non si possono neanche escludere del tutto aumenti delle imposte. Durante la formazione del governo, i centristi – soprattutto i macroniani di Renaissance, guidati dallo stesso Attal – hanno posto il veto, ma è stato lo stesso ministro dell’Economia ad aprire la porta a interventi mirati. «Sì, il contesto di bilancio è senza precedenti – ha detto Armand – e ogni ministero dovrà fare proposte per risanare le finanze pubbliche. Ma non sarò il ministro della confisca fiscale (ossia di aumenti forti dei prelievi obbligatori a favore dei ministeri, ndr) né quello del sotto-investimento nel nostro futuro economico». Allo stesso tempo, «escludere a priori alcuni prelievi eccezionali e mirati – ha aggiunto – non sarebbe responsabile. Ma questo non costituisce una dottrina e non risolve il nostro problema: dobbiamo ridurre la spesa pubblica e renderla più efficiente. Se la soluzione fosse aumentare le tasse, la Francia sarebbe da tempo la prima potenza mondiale».

…o forse sì

Allo stesso tempo, ha aggiunto Armand, «escludere a priori alcuni prelievi eccezionali e mirati non sarebbe responsabile. Ma questo non costituisce una dottrina e non risolve il nostro problema: dobbiamo ridurre la spesa pubblica e renderla più efficiente. Se la soluzione fosse aumentare le tasse, la Francia sarebbe da tempo la prima potenza mondiale».Aperta questa porta, è stato semplice per Barnier sia assicurare che «No, non intendo aumentare ulteriormente le tasse per i francesi» e in particolare «non per le persone più modeste, né per quelle che lavorano, né per le classi medie», facendo però due importanti passo avanti: «Non escludo che le persone più ricche partecipino a questo sforzo nazionale», ha detto, facendo riferimento all’Imposta sulla fortuna, abrogata da Macron. «Le grandissime multinazionali che vanno bene – ha aggiunto – potrebbero contribuire allo sforzo nazionale di ripresa.»

Il peso dei tagli delle tasse

La struttura stessa del governo esclude che venga toccata la riforma delle pensioni, che pure aveva avuto il voto contrario, tutto politico, dei Républicains (che in origine erano persino favorevoli a un innalzamento dell’età di riferimento delle pensioni a 65 anni, e non ai 64 anni proposti da Macron). Barnier ha detto che è possibile «migliorare questa legge», sui lavori usuranti, o per le «madri di famiglia».
Molto di più non si potrà fare. È emerso, in uno studio di Jean-Pascal Beaufret, ex ispettore generale delle finanze ed ex-direttore generale delle imposte, pubblicato sulla rivista Commentaire, che degli 839 miliardi di debito pubblico aggiuntivo dal 2018 a oggi, gli anni di Macron e di Le Maire, la metà circa, 438 miliardi, è legata in modo diretto o indiretto (il versamento di contributi a carico dello Stato) ai trattamenti previdenziali, mentre le circostanze eccezionali del Covid, dell’inflazione e della guerra in Ucraina hanno inciso per 222 miliardi. I tagli alle imposte voluto dal “primo” Macron hanno pesato per 197 miliardi in sei anni.

Il peso delle opposizioni

Il progetto di bilancio non migliorerà certo i rapporti del governo, di minoranza, con il Nouveau Front Populaire di sinistra, i cui partiti hanno già annunciato – sia pure in modo non coordinato – delle mozioni di censure pregiudiziali. Il Rassemblement national, che ha deciso di aspettare – quasi sicuramente d’intesa con il presidente Macron – prima di dar forma alla propria opposizione, deciderà in base alle proposte di finanza pubblica. «Vedremo cosa ci dirà Michel Barnier – ha spiegato il vicepresidente Sébastien Chenu – e, in base al bilancio che sarà elaborato, ci riserviamo certamente la possibilità di chiedere una censure».

Rischi limitati

I rischi sono limitati, ma non banali. Il Governo, in base alla Costituzione, può chiedere che i diversi documenti di programmazione finanziaria possano essere approvati senza un voto del Parlamento, a meno che l’Assemblée non voti, appunto, una censure, che lo farebbe cadere. Così è accaduto l’anno scorso: anche se il Governo Borne era, come l’attuale, un governo di minoranza, le mozioni della sinistra e della destra non hanno raggiunto la maggioranza perché le due opposizioni hanno votato ciascuna la propria mozione, evitando di convergere sugli stessi documenti: sarebbe stata una svolta politica dirompente, che solo un fatto gravissimo da parte del Governo avrebbe potuto giustificare. Barnier ora punta sulla stessa pregiudiziale politica per andare avanti.

Fonte: Il Sole 24 Ore