«Cara» tazzina di caffè, non rallenta la corsa dei prezzi per arabica e robusta

Non si fermano gli allarmi sui rincari del caffè, dopo l’allarme lanciato dagli imprenditori a fine agosto, cui hanno fatto eco le associazioni dei consumatori. Assoutenti, per esempio, ha stimato un incremento del 68% della materia prima rispetto allo scorso anno per la varietà robusta. Secondo l’associazione in Italia, dove il solo espresso bevuto al bar genera un giro d’affari di 7 miliardi di euro all’anno, il costo della tazzina è cresciuto del 15% dal 2021, con picchi in particolare in alcune città. E la situazione non accenna a stabilizzarsi: secondo gli analisti, il caffè è tra le principali materie prime a vedere le quotazioni lievitate.

La Ue è il primo importatore globale di caffè verde con circa il 34% del totale (fonte: Usda). Secondo i dati Eurostat nel 2023 l’Unione Europea ha importato 44,2 milioni di sacchi di caffè. Il 63,8% di caffè importato è della varietà arabica, il 35,6% della varietà robusta. L’Italia è il secondo importatore dell’Ue, con circa il 23% del totale (10,4 milioni di sacchi nel 2023), mentre il primo importatore è la Germania con il 34%. In Italia si importa soprattutto dal Brasile (31%), dal Vietnam (23%) e dall’Uganda (15,2%).

Cosa è successo quindi alla materia prima? Stando alle elaborazioni fornite da Areté, compagnia internazionale di agrifood intelligence, sul mercato finanziario The Ice, la prima scadenza della varietà robusta, da metà marzo, ha registrato un aumento del 27%, toccando un nuovo record a oltre 4.200 dollari/tonnellata. Nello stesso periodo anche il prezzo della varietà arabica ha segnato un +36%, arrivando ai livelli più alti degli ultimi due anni. Inoltre, i rialzi sono alimentati dal timore che il meteo possa negativamente impattare gli sviluppi dei prossimi raccolti 2024-25. I trend rialzisti sono ulteriormente amplificati dall’incertezza sugli effetti delle norme anti deforestazione Ue e dai costi dei container sostenuti dalle tensioni geopolitiche sul Mar Rosso. Tuttavia, il trend inflazionistico è anche fortemente alimentato da movimenti speculativi.

Più nel dettaglio, l’inflazione che ha caratterizzato le quotazioni finanziarie del caffè si è trasmessa sui prezzi fisici di tutte le origini. A livello medio nel 2024 ci sono state criticità soprattutto per il caffè robusta importato dal Vietnam che ha avuto differenziali (il premio o lo sconto richiesto dai fornitori rispetto al prezzo finanziario) medi a circa 280 dollari/ton rispetto a una media degli ultimi cinque anni di 22 dollari/ton. In particolare il Vietnam ha potuto “beneficiare” dell’uscita dal mercato nel 2023 dell’Indonesia, secondo produttore di robusta a livello globale che ha avuto un tracollo produttivo di oltre il 20%, ma a pesare è stata che una produzione nel Paese sostanzialmente piatta rispetto a una domanda dinamica. Anche se, negli ultimi mesi, le esportazioni record brasiliane di robusta hanno ridotto il vantaggio competitivo del Vietnam con differenziali che, ad agosto, hanno anche segnato valori negativi.

«Il ritorno a una situazione di equilibrio richiederà comunque più tempo – frena Filippo Roda, analista senior di Areté –. Questo non toglie che ci possano essere dei cali rispetto ai picchi visti nei giorni scorsi, ma di certo non si tornerà ai prezzi del 2021-22. La carenza di offerta, dovuta a eventi climatici sfavorevoli, da un paio di anni a questa parte, ha eroso le scorte con conseguente aumento di prezzo. Nell’ultimo mese, invece, i picchi sono legati più alle speculazioni, ovvero alle aspettative per il prossimo raccolto, già compromesso dal meteo di queste settimane».

Fonte: Il Sole 24 Ore