I possibili sviluppi della politica di coesione europea

La nomina di Raffaele Fitto come candidato Commissario per la coesione e le riforme ha acceso i riflettori su un’area importante del bilancio dell’Unione europea. La coesione è una delle più antiche politiche di spesa europea che, come il nome suggerisce, mira alla convergenza sociale, territoriale ed economica delle regioni dell’Ue. Emerge all’articolo 174 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue che la coesione serve a «promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione» e che «l’Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite». La politica di coesione comunica dunque il seguente messaggio: nessuno deve essere lasciato indietro.

A questa azione l’Ue dedica in media un terzo del suo bilancio, ossia circa 300 miliardi di euro in sette anni.

Una politica con alcune criticità

Tuttavia, gli studi condotti sulla efficacia della politica di coesione sono tra loro discordanti. Difatti, per come è strutturata, la politica di coesione mostra delle criticità, alcune delle quali sono state identificate anche nel Report di Draghi sulla competitività europea. Per prima cosa, i fondi di coesione sono frammentati e questo impedisce ai progetti di avere una scala europea sufficiente. La segmentazione comporta inoltre inutili duplicazioni. In secondo luogo, l’accesso ai finanziamenti è complesso ed eccessivamente burocratizzato per i privati e le amministrazioni locali. Infine, la programmazione di questi fondi avviene con il Quadro Finanziario Pluriennale (Qfp), un regolamento con cui all’unanimità i Governi degli Stati Membri decidono con largo anticipo l’apporto finanziario dei programmi in bilancio per un settennato. Il Qfp, introdotto alla fine degli anni 80 su idea di Jaques Delors – all’epoca presidente della Commissione europea – al fine di dare prevedibilità e stabilità alle finanze dell’Unione, confligge però con l’esigenza attuale: far fronte all’imprevedibile.

Le innovazioni dopo il Covid, con qualche rischio

Dopo il Covid, l’Unione europea ha usato in modo innovativo la coesione per fronteggiare la crisi economica che, in assenza di un intervento finanziario ambizioso a livello centrale, avrebbe colpito in modo più drammatico. Fin dai primi momenti dell’emergenza, i programmi Crii e Crii Plus hanno permesso di reindirizzare i fondi di coesione non spesi del periodo 2014-2020 verso obiettivi urgenti. Inoltre, per il 2021-2027, la cifra investita in coesione si è quasi quadruplicata poiché l’Ue ha mobilizzato ulteriori 800 miliardi di euro attinti dai mercati finanziari. Di fatto, la coesione ha consentito un intervento economico anticiclico grazie al Pnrr, creato su una base giuridica del Trattato dedicata alla politica di coesione. Si tenga sempre presente, infatti, che in base al principio del conferimento, l’Ue non è libera di agire in tutti i campi, ma solo quando i Trattati le “conferiscono” i poteri per farlo. Ancora, il programma REPowerEU ha sfruttato la coesione per fronteggiare l’impatto negativo dalla guerra in Ucraina sul piano energetico. La coesione sta emergendo dunque come una politica di spesa ad ampio spettro, aprendo prospettive fino a poco tempo fa impensabili.

Non mancano però rischi legati all’uso creativo della coesione, primo fra tutti, che sconfini in politica fiscale comune, per la quale invece i Trattati parlano di mero coordinamento tra Stati. Si tratta dunque di un non facile equilibrismo, tra il dettato delle norme, la loro lettura evolutiva e la necessità di fornire risposte pragmatiche alle esigenze dei cittadini.

Fonte: Il Sole 24 Ore