Elena, pellegrina in terrasanta e volto del potere

Mezzo secolo di romanità, rammendato con il confronto certosino delle fonti e una ricerca fatta di decine di ipotesi e fiammelle di certezze. Francesca Ghedini, docente emerito di Archeologia classica, propone con il suo Elena e le altre. Donne, religione e politica alla corte di Costantino la ricostruzione delle donne che ruotarono attorno all’imperatore e lo fa con il metodo che le abbiamo visto nelle lezioni di archeologica classica al Liviano di Padova. Allora, trent’anni fa, Ghedini era una visionaria della ricerca, oggi ha molti adepti. E questo nuovo studio va in quel solco: fonti letterarie, epigrafiche e numismatiche, reperti e iconografie per un quadro quanto più possibile completo.

Quel mezzo secolo di romanità è fatto anche da Elena, madre di Costantino, dalla moglie Fausta, da Minervina che gli diede il figlio Crispo, dalla matrigna Teodora, dalle tre sorellastre (figlie di Costanzo, Costanza, Anastasia, Eutropia) e dalle due figlie, Costantina ed Elena, anche a loro – ricorda Ghedini – «la sorte riservò il trattamento che spettava a tutte le donne nate ai vertici del potere: divenire strumento per accordi di palazzo». La ricostruzione non si è presentata semplice: a differenza di quanto accade per le donne dei Cesari nei primi secoli dell’impero, la documentazione che riguarda le figure femminili della prima metà del IV secolo d.C. è scarna. Negli anni che seguono la caduta della dinastia severiana, i barbari premono ai confini, le faide familiari e le guerre fratricide azzoppano un impero che langue, la grande aristocrazia non ha più un ruolo e la crisi economica è dilagante. In questo quadro, le figure femminili entrano ed escono dalla storia alla velocità con cui i loro uomini arrivano al potere o ne sono cacciati.

Di certo, la donna che più di altre segna la vita di Costantino è la madre Elena, alla quale la storia riconosce un ruolo fondamentale nel promuovere il cristianesimo ma di cui le fonti fanno ricostruire solo gli ultimi anni di vita. Nasce poco prima della metà del III secolo, se è vero quanto scrive Eusebio, che affermava che l’Augusta morì ottantenne fra la fine del 328 e i primi mesi del 329. Anche il luogo è sconosciuto: Procopio di Cesarea, vissuto due secoli dopo, indica Drepanum, oggi Hersek, in Turchia ma numerose sono le rivendicazioni, Treviri in Gallia, Camulodunum (Colchester), in Britannia. Sono anni di grande instabilità, in cui paura e incertezze favoriscono il lento affermarsi di istanze monoteistiche con il cristianesimo e la sua luce nell’Aldilà che si ritaglia spazi sempre maggiori.

Le origini di Elena sono umili: per il cristiano Ambrogio, vescovo di Milano, è stabularia, locandiera, e aggiunge l’aggettivo bona, che in chiave etica e morale significa persona leale e onesta, ma anche virtuosa e casta. Dove abbia incontrato Costanzo Cloro, padre di Costantino, non si sa ma è probabile che l’abbia seguito negli anni successivi nelle sue peregrinazioni, visto che il frutto del loro amore nasce fra il 272 e il 274 a Naissus (in Serbia). Poi, Costanzo sposa Teodora ed Elena sceglie la solitudine e l’ombra. È il figlio Costantino, una volta acclamato imperatore dall’esercito e pacificato l’impero, a chiamare a corte Elena, concedendole il titolo di nobilissima femina, lo stesso dato alla moglie Fausta.

Nel 312 d.C. Costantino sconfigge Massenzio al Ponte Milvio, dell’anno seguente è l’Editto che concede libertà di culto ai cristiani e il cristogramma domina l’iconografia; sul rovescio di un follis costantiniano si trova uno dei più antichi esempi che mostrano il labaro sormontato dalle prime lettere del nome di Cristo. Allora, Elena aderisce alla politica di apertura al credo dei cristiani come confermato dagli interventi edilizi, finanziati da Costantino, che dopo la vittoria su Massenzio interessano il tessuto della capitale. Altrettanto importante è il viaggio in Terrasanta sul quale Ghedini intreccia con saggezza tutte le fonti per concludere che «il viaggio fu una sofisticata e complessa operazione di propaganda che rispondeva a molteplici istanze: accanto alla personale esigenza di manifestare una piena adesione alla religione cristiana, non meno cogente fu la volontà di essere percepita come il volto del potere in una chiave del tutto in linea con le consuetudini imperiali. La “pellegrina” Elena incarna il modello di un impero che, pur cristianizzato, si muove nel solco della tradizione: con le amnistie l’Augusta si presenta come la garante della clementia e della iustitia del figlio imperatore, con le elargizioni ai militari diventa il simbolo della liberalitas, mentre in quanto mater castrorum rappresenta la virtus, che assicura la sicurezza dei confini». Insomma, Elena paladina della fede e donna di potere.

Fonte: Il Sole 24 Ore