Il nuovo volto della bilateralità che estende il welfare a tutti

Gli enti bilaterali si evolvono e diventano il canale per estendere il welfare ai lavoratori di quei settori dove le dimensioni aziendali sono più frammentate, come l’edilizia, il terziario, l’agricoltura e l’artigianato. Nati per la gran parte negli anni ’90 con una funzione di compensazione in settori dove non arrivavano gli ammortizzatori (come il commercio e l’artigianato), oggi gli enti bilaterali si stanno affermando per il loro ruolo di “ponte”, anche in quelle aziende che non hanno contrattazione di secondo livello e per quei contratti le cui previsioni sulla materia non ci sono o sono deboli. Per tutti i modelli, però, la contrattazione, sia nazionale che territoriale e aziendale, si è rivelata il principale traino perché tutto, dai fondi agli enti bilaterali, parte da lì. A iniziare dai finanziamenti.

I modelli

I modelli attraverso cui il welfare privato è cresciuto negli ultimi decenni sono molteplici e si sono sviluppati a immagine e somiglianza dei settori in cui sono nati. L’industria ha sviluppato una contrattazione di primo e secondo livello che offre coperture che vanno dalla sanità alla previdenza integrativa a tutti i beni e servizi di welfare. È in questo ambito che rientrano anche i premi di produttività che sono convertibili in welfare e riguardano circa cinque milioni di lavoratori, secondo i dati sugli accordi sui contratti depositati e attivi al Ministero del Lavoro. Ma rientrano anche le soluzioni di welfare aziendale promosse in via unilaterale o attraverso i contratti collettivi. Con una differenza: se nei casi citati esiste una fiscalità vantaggiosa, non è così per il welfare degli enti bilaterali, su cui il settimo rapporto Welfare for people, realizzato da Adapt in collaborazione con Intesa Sanpaolo richiama l’attenzione, dato che ha il medesimo ambito di intervento e le stesse funzioni.

La visione sistemica

Michele Tiraboschi, coordinatore scientifico di Adapt, spiega che «la ricerca si inserisce in ciò che da tempo definiamo la nuova grande trasformazione del lavoro, dove il welfare, se ben utilizzato, può diventare uno degli ambiti chiave per costruire un nuovo ordine economico e sociale, sostenibile dal punto di vista finanziario e capace di garantire un equilibrio tra esigenze produttive e giustizia sociale». Tiziana Lamberti, Executive Director Wealth Management & Protection di Intesa Sanpaolo sottolinea come il gruppo abbia svolto «un ruolo pionieristico nel welfare integrativo, proponendo ai propri dipendenti fondi pensione, fondi sanitari e soluzioni innovative in grado di armonizzare il tempo lavorativo con la vita privata. Anche alla luce dell’esperienza virtuosa maturata nel suo contesto aziendale, Intesa Sanpaolo ha strutturato un ampio paniere di offerta per soddisfare i bisogni di welfare delle aziende. La piattaforma per la gestione dei programmi Welfare Hub, a fine 2023, contava oltre 6.000 aziende clienti che avevano aderito al servizio ed era utilizzata da oltre 130.000 dipendenti». In collaborazione con la Divisione Insurance, Intesa Sanpaolo propone anche «soluzioni di previdenza complementare e coperture collettive per rischio infortuni e salute alle aziende interessate ad assicurare intere categorie omogenee di lavoratori», ma l’esigenza più impellente, osserva Lamberti «è legata all’inverno demografico, che ci ha spinti a pensare un ecosistema di servizi per gli over 65 e i loro caregiver, incentrato su polizze di natura assicurativa».

La mappatura dei settori

Considerando 6 diversi macrosettori contrattuali ossia metalmeccanico, chimico-farmaceutico, industria alimentare, terziario, distribuzione e servizi, artigianato e agricoltura, i ricercatori di Adapt, hanno mappato 11 enti bilaterali nazionali dall’Eban (agricoltura) all’Ebinter (terziario) all’Ebna (artigianato) solo per citarne alcuni. Si distinguono sulla base dei diversi sistemi confederali e delle realtà d’impresa, oltre che di una rete che comprende più di 100 enti bilaterali sul territorio. La loro centralità emerge soprattutto in agricoltura, terziario e artigianato, ossia là dove la contrattazione aziendale è ancora scarsamente diffusa, per le caratteristiche dimensionali delle imprese.

Le misure più diffuse

Il rapporto ha fatto emergere che le misure di welfare bilaterale più diffuse riguardano l’istruzione dei figli dei lavoratori iscritti agli enti: sono infatti presenti nell’89% dei casi analizzati nel rapporto, con soluzioni che spaziano dai contributi per l’acquisto dei libri scolastici al rimborso delle tasse universitarie, fino ai contributi per la digitalizzazione e al sostegno delle spese per l’acquisto di devices tecnologici per le attività scolastiche. Ci sono poi le misure di sostegno al reddito per i lavoratori, sempre più declinate nell’ottica del supporto alla famiglia, con contributi e rimborsi che sono presenti nel 69% degli enti analizzati. Oltre la metà degli enti, il 53%, prevede anche specifici contributi per le spese legate all’utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico da parte dei lavoratori: oltre a supportare le loro esigenze quotidiane, c’è anche la volontà di promuovere obiettivi di sostenibilità ambientale. Ampiamente diffuse sono le soluzioni a tutela e prevenzione della salute (previste nel 50% dei casi) nonché quelle per le attività di cura e assistenza famigliare (promosse dal 47% degli enti analizzati). Residuale è invece il ruolo delle misure nelle attività ricreative e del tempo libero, promosse nel 36% dei casi analizzati. Con la fiammata dell’inflazione, infine, le attività degli enti bilaterali si sono estese ad aree meno “tradizionali” del welfare, come le misure a sostegno del potere d’acquisto dei lavoratori contro il rialzo dei prezzi dei beni energetici, così come dei contributi economici per mutui o affitti.

Fonte: Il Sole 24 Ore