Dai sogni alle passioni personali i brand inseguono il tempo libero

Anche in mezzo all’oceano nulla è impossibile. Soprattutto perché quel mare può infondere allo stesso tempo calma e adrenalina. Ma nulla è precluso soprattutto per chi è animato da una passione indomita. È quello che sostiene da sempre Rita Arnaus, ventinovenne atleta spagnola e campionessa di kitesurf impegnata a passare buona parte della vita in acqua, sulla sua tavola e con il vento che soffia forte, lanciandola quasi fino al cielo. All’età di vent’anni Rita vince il suo primo campionato di kitesurf in Spagna per poi arrivare a lambire il titolo di campionessa del mondo in Brasile due anni fa, classificandosi al secondo posto. Ma già qualche mese prima Rita era stata scelta dalla Porsche come ambasciatrice del brand. Ora la casa automobilistica tedesca torna a opzionarla e a raccontarla sulle proprie piattaforme. Evocativo il titolo del pezzo che la racconta: “come una donna sta seguendo i suoi sogni e sta ispirando gli altri”. Sognare per fare la differenza. In fondo è ciò che declina la campagna intitolata “Driven by dreams”. «Porsche realizza i sogni da 75 anni, ma il messaggio non si applica solo agli amanti delle auto sportive di tutto il mondo. Proprio come i clienti del marchio, anche i suoi dipendenti sono guidati dai sogni», dice l’azienda descrivendo la campagna. «I nostri dipendenti plasmano il successo di Porsche con i loro sogni e prospettive personali», ha dichiarato Andreas Haffner di Porsche. Ecco allora le passioni che spingono a scegliere un brand, alimentando il suo posizionamento reputazionale e incrementando i suoi consumi e di fatto anche il business. D’altronde mai come oggi le organizzazioni stanno vivendo quella che viene definita l’età delle passioni e che si esplicita in un mosaico di testimonianze che coinvolgono sportivi, chef, creator e persino i dipendenti dell’azienda.  

Persone e passioni

Il lavoro oltre il lavoro, si potrebbe dire. Soprattutto in una fase storica che vede le organizzazioni impegnate a tenere insieme ciò che accade dentro con ciò che accade fuori. È l’economia della passione che secondo un recente studio di Gallup conviene: le realtà con dipendenti altamente coinvolti in attività extraprofessionali registrano valutazioni dei clienti più alte del +10% e vendite incrementali del +20% rispetto a quelle con un basso livello di coinvolgimento. Ma c’è di più. I progetti personali incentrati sulle passioni supportano il benessere psicofisico. Lo ha certificato recentemente l’American Psychological Association, che ha evidenziato come ben sette lavoratori su dieci ritengono che il proprio datore di lavoro sia più preoccupato per la salute mentale dei dipendenti ora rispetto al passato. Intanto l’81% degli individui sostiene che cercherà luoghi di lavoro che soddisfino le proprie passioni.

Il marketing del tempo libero

È la fine del consumatore apatico secondo gli studi di Adam Davidson, ideatore del seguitissimo podcast Planet Money e autore del best seller “The passion economy”. Davidson nota come l’economia del nuovo secolo si sia concentrata sulla produzione di massa di beni, mentre quella del nuovo è incentrata sulle passioni degli individui. «Per tanto tempo la strategia più sicura e redditizia è stata quella di essere il più possibile simili agli altri. Ora si punta ad essere pienamente se stessi, marcando le differenze», dice Davidson. Lanciare una sfida sportiva, allenarsi in team, dedicarsi ad una propria passione, orientarsi ad un hobby che diventa collettivo, arrivando a coinvolgere altri colleghi o persino i clienti. È come se il nuovo marketing passasse dal tempo libero. «Gli interessi e le passioni extra lavorative ci definiscono a tutto tondo come persone e non funzionano solo come valvole di sfogo per un professionista. Sono tra le migliori amplificatrici delle nostre soft skill: capacità relazionali, comunicative, di presa di decisioni, gestione ansie e stress, che fanno la vera differenza nel lungo termine per un percorso lavorativo appagante e che ci rappresenta nel profondo», afferma Giulio Xhaet, autore del libro “Da grande” per Sonzogno. Così quel tempo libero oggi così incentivato e raccontato diventa creazione di valore. «Un elemento di psicologia sociale centrale e connesso alle passioni è il flow, ossia il flusso: l’esperienza ottimale che possiamo scatenare tanto sul lavoro quanto nella vita personale che coniuga la fatica al significato e rende l’impegno gaudente. Avete presente quando vi impegnate al massimo su qualcuno che per voi ha un impatto importante? Quando non vi accontentate del massimo risultato col minimo sforzo, ma aspirate a un magnifico risultato col massimo sforzo? Lì, siete nel flow», dice Xhaet.

Il fattore 20

In Silicon Valley lo hanno battezzato fattore 20, pensando in modo estensivo a ciò che di rivoluzionario ha introdotto Google. Cioè il 20% del tempo di lavoro delle persone viene messo a disposizione per pensare fuori dagli schermi e generare idee innovative. «Incoraggiamo i nostri dipendenti a dedicare il 20% del loro tempo a lavorare su ciò che ritengono possa apportare maggiori benefici. Ciò consente loro di essere più creativi e innovativi», aveva dichiarato Larry Page in una lettera a dipendenti e azionisti nel lontano 2004. Oggi le grandi realtà che hanno offerto questo beneficio ai dipendenti includono BBC, Apple o ancora Atlassian. Ma ragioniamo in ottica estensiva, quindi allargata. In fondo nell’alimentare le passioni e il loro racconto si genera un vantaggio competitivo dentro e fuori l’organizzazione. «Molte multinazionali hanno intrapreso percorsi legati alle passioni personali, al flusso e al purpose come ingredienti fondamentali per lo sviluppo di un professionista. Il mondo del lavoro sta andando verso la necessità di sapersi reinventare costantemente: imparare a imparare oggi è un’urgenza. Da dove ripartire? Dalla curiosità, che è amica della passione e nemica giurata della superficialità», conclude Xhaet.

Fonte: Il Sole 24 Ore