La traccia dei soldi: «le mafie nei salotti buoni della finanza»

«La criminalità organizzata non opera in uno spazio fisico per riciclare denaro sporco o investire in attività legali. Non c’è una città, una regione o un Paese che da questo punto di vista è più o meno infiltrato di altri. Viceversa, esistono tanti diversi spazi finanziari, in cui le varie consorterie — siano cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra — raggiungono un accordo di spartizione, inquinando il tessuto socio-economico attraverso imprenditori e professionisti compiacenti». Uno scenario reso ancor più allarmante dall’uso della tecnologia, come l’Intelligenza artificiale, di cui anche le cosche si avvalgono.

Così il generale Michele Carbone, direttore della Direzione investigativa antimafia, in un colloquio video con il Sole 24 Ore, che sarà trasmesso questa mattina sul sito web del nostro giornale.

Forte della sua esperienza investigativa in ambito finanziario, Carbone ha delineato le strategie di aggressione economica attuata dalla criminalità organizzata, partendo da una metamorfosi iniziata «dagli anni ’80, che ha portato all’evoluzione del mafioso in imprenditore. Man mano che aumentavano i traffici illeciti aumentava la liquidità e la necessità di riciclarla».

Oggi gli schemi del crimine finanziario si sono affinati, hanno fatto un salto di qualità. «Ci si avvale di professionisti esperti in ambito fiscale-giuridico», ma sempre più spesso le consorterie decidono di investire su propri affiliati, facendoli studiare nelle università e nei master di amministrazione finanziaria all’estero. «Non c’è indagine in materia di crimine organizzato dove non si scopra il professionista complice che ha svolto certificazioni o asseverazioni illecite».

In questo senso torna il concetto della dematerializzazione dello spazio di operatività dei clan: le aree più produttive sono quelle più appetibili. «Lo ha confermato un’indagine svolta a Roma: ‘ndrangheta e camorra investivano insieme nella Capitale avvalendosi della criminalità locale e sfruttando l’imprenditoria capitolina» in un giro di fatture false stimato in mezzo miliardo di euro. «A Roma avevano creato una centrale di riciclaggio. Si tratta di un modello evoluto basato sull’accordo tra organizzazione che, però, non riguarda solo la Capitale».

Fonte: Il Sole 24 Ore