FiberCop-Open Fiber, il Tesoro vuole la rete unica

C’è da dire che al Tesoro, inteso come istituzione, non difetta la coerenza. Per Sparkle, la società dei cavi sottomarini che fa capo a Telecom Italia e che da sempre è ritenuta strategica (anche perchè passa in zone calde del pianeta), la cifra offerta in settimana – 700 milioni – è ancora la stessa di sette-otto anni fa quando a ricevere la proposta – allora via Cdp, ma in accordo con l’azionista – c’erano al vertice di Tim Giuseppe Recchi e Flavio Cattaneo. Ai tempi, secondo fonti informate, a un certo punto fu offerto uno “scambio in natura”, in sostanza un baratto: il 100% di Open Fiber contro il 100% di Sparkle nell’ambito di una transazione, appunto, da 700 milioni di euro. Open Fiber stava muovendo i primi passi e di fatto il suo perimetro di attività coincideva con quello di Metroweb, la società della rete in fibra ottica di Milano, che interessava a Telecom. Non se ne fece nulla perchè Telecom era disposta a cedere in cambio solo il 50% di Sparkle, valutandola quindi esattamente il doppio.

Col senno di poi la storia sarebbe stata molto diversa se Tim avesse accettato quell’offerta: probabilmente non si sarebbe trovata nelle condizioni di dover rinunciare alla rete, ceduta a luglio alla cordata capitanata dal fondo Usa Kkr. Nè Open Fiber si sarebbe trovata a dover dipendere dalle banche per finanziare un’infrastruttura parallela che ancora non si mantiene autonomamente. Il progetto di mettere insieme la rete dell’incumbent – che ora appunto non è più di Tim – e quella di Open Fiber – che nel frattempo non è più solo Milano – non è però tramontato. Anzi, le difficoltà del contesto stanno probabilmente spingendo ad accelerare sul tentativo di promuovere un’integrazione infrastrutturale, comunque densa di ostacoli. Intervenendo ieri al forum Future of finance, organizzato nel capoluogo lombardo da Bloomberg, Marcello Sala, direttore generale economia e finanze del Mef – che sovraintende a partecipate e privatizzazioni – ha espressamente detto che l’Italia vuole avere «solo una società per la fibra ottica nel Paese».

Le reti e il Tesoro

Su entrambi i fronti, è il Tesoro che è esposto sulle reti. In FiberCop, come si chiama oggi la Netco che ha rilevato la rete Telecom, il Mef detiene il 16% e sebbene il controllo faccia capo a un soggetto finanziario sofisticato come è Kkr, il ministero esprime il presidente (l’ex dg di Tim e ex ad di Poste Massimo Sarmi) che ha potere di veto su determinate tematiche, ritenute più sensibili. In Open Fiber è Cdp, la cui maggioranza fa capo al Tesoro, che controlla il 60% della società impegnata nell’accidentato percorso di cablare le aree a fallimento di mercato, totale o parziale, e in un parallelo negoziato perenne con le banche per ottenere i fondi per andare avanti con la costruzione della rete in fibra alternativa a quella di Telecom (che nelle aree nere, concorrenziali, esiste già). Ma gli interlocutori al tavolo sono più d’uno e riuscire a far convergere tutti gli interessi non sarà una passeggiata.

Fonte: Il Sole 24 Ore