La Corte Ue: più facile per i calciatori svincolarsi dai club

La Corte di giustizia Ue ha stabilito che alcune delle norme della Fifa in materia di trasferimenti internazionali di calciatori professionisti sono contrarie al diritto dell’Unione perchè ostacolano la libertà di circolazione dei giocatori e restringono la concorrenza tra i club. La sentenza è stata originata dal caso dell’ex calciatore francese Lassana Diarra in seguito al quale è stata contestata la norma su status e trasferimento dei calciatori che prevede che un giocatore che rescinde un contratto prima della sua scadenza senza giusta causa sia tenuto a pagare un risarcimento al club e, se il giocatore approda a un nuovo club, quest’ultimo debba essere responsabile in solido per il pagamento del risarcimento.

La vicenda Diarra

Nel 2014, Lassana Diarra, centrocampista che ha giocato nel Chelsea, nell’Arsenal e nel Real Madrid, ha lasciato il Lokomotiv Mosca dopo solo un anno di un contratto quadriennale. La società russa si è appellata alla camera di risoluzione delle controversie della Fifa argomentando che il calciatore aveva violato le regole al momento della rescissione, andando via senza giusta causa in seguito a una riduzione dello stipendio. Diarra aveva allora avuto un’offerta dal club belga Charleroi, che però l’ha ritirata in seguito al rifiuto della Fifa di firmare il certificato di trasferimento. Cosa che impediva al centrocampista di tesserarsi alla federazione belga. Nel 2015 la Fifa poi ha stabilito che Diarra dovesse pagare 10 milioni di euro di danni al Lokomotiv. Decisione impugnata dal giocatore che si è rivolto a un tribunale belga citando la Fifa e la federazione belga. Il giudice a sua volta ha chiamato in causa la Corte Ue con una questione pregiudiziale relativa alla compatibilità di queste regole Fifa sui trasferimenti agli articoli 45 (libertà di circolazione dei lavoratori) e 101 (divieto di cartelli) del Trattato dell’Unione Europea (Tfue).

Le norme Fifa bocciate

In particolare l’articolo 17 del regolamento Fifa sui trasferimenti stabilisce che se un giocatore risolva unilateralmente il contratto di lavoro senza «giusta causa» prima del termine di scadenza, il calciatore e l’eventuale club che intenda ingaggiarlo, sono responsabili in solido per il pagamento di un’indennità al club di provenienza. Inoltre, il nuovo club è passibile, in determinate situazioni, di una sanzione sportiva consistente nel divieto di ingaggiare nuovi giocatori per un determinato periodo. Infine, la federazione nazionale da cui dipende il club di provenienza del giocatore deve negare il rilascio di un certificato internazionale di trasferimento alla federazione presso la quale è iscritto il nuovo club finché tra il club di provenienza e il giocatore è pendente una controversia in merito alla risoluzione del contratto.

La decisione della Corte Ue

Per la Corte Ue queste norme sono «contrarie al diritto dell’Union poichè «sono tali da ostacolare la libera circolazione dei calciatori professionisti che vogliano far evolvere la loro attività andando a lavorare per un nuovo club, stabilito nel territorio di un altro Stato membro dell’Unione». Infatti fanno gravare su tali giocatori, e sui club che intendano ingaggiarli, rischi giuridici rilevanti, rischi finanziari imprevedibili e potenzialmente molto elevati nonché significativi rischi sportivi, che, considerati nel complesso, sono tali da ostacolare il trasferimento internazionale di questi giocatori.

Anche se è vero che restrizioni alla libera circolazione dei giocatori professionisti possono essere giustificate dall’obiettivo di interesse generale consistente nel garantire la regolarità delle competizioni di calcio tra club, mantenendo un certo grado di stabilità nell’organico dei club di calcio professionistici, «nel caso di specie le norme fatta salva la verifica da parte della cour d’appel de Mons, sembrano spingersi, sotto molti aspetti, oltre quanto necessario per il perseguimento di tale obiettivo».

Fonte: Il Sole 24 Ore