Disoccupazione, ecco perché in Italia adesso cala anche quella giovanile

Ad agosto l’Istat ha registrato per l’Italia un tasso di disoccupazione al 6,2%, ai minimi dal 2007. In un anno il numero di persone disoccupate è sceso di 355mila unità (-226mila donne, -129mila uomini). Nell’area Euro, secondo Eurostat , il tasso di disoccupazione è al 6,4%; in Germania siamo al 3,5%, in Francia al 7,5%, in Spagna a quota 11,3%.

In forte calo la disoccupazione giovanile

In Italia è calata anche la disoccupazione giovanile, siamo al 18,3%, un livello mai registrato nelle serie storiche dell’Istat (2004). In un anno il tasso di disoccupazione giovanile è sceso di 5,6 punti. In numeri assoluti nei 12 mesi abbiamo 95mila disoccupati under25 in meno. Anche nel confronto internazionale scaliamo posizioni. Siamo vicini al 17,2% di disoccupazione giovanile della Francia. La Spagna resta al 24,7%. La media dell’area Euro è 14,1%. Restiamo distanti dalla Germania, stabile al 6,8% di quota di giovani senza un impiego, grazie anche al sistema di formazione duale che qui da noi si sta tentando di rilanciare.

Migliorano anche i dati sui Neet e sugli abbandoni

Sempre in base ai dati Istat, in Italia, nel 2023, la quota di 18-24enni con al più un titolo secondario inferiore e non più inseriti in un percorso di istruzione o formazione è pari al 10,5%, in diminuzione di un punto percentuale rispetto al 2022. Nonostante i progressi, il valore resta tra i più alti dell’Ue (la media europea è pari al 9,5%): l’Italia, terz’ultima nel 2021, nel 2023 diventa quint’ultima (con valori inferiori alla Romania, Spagna, Germania e Ungheria). Il fenomeno dell’abbandono scolastico è più frequente tra i ragazzi (13,1%) rispetto alle ragazze (7,6%). In calo anche il numero di Neet: la loro quota sul totale dei 15-29enni, stimata al 16,1% per il 2023, registra un ulteriore calo (-2,9 punti percentuali rispetto al 2022) e si attesta su un valore inferiore a quello del 2007 (18,8%). Nell’Ue, il valore italiano è tuttavia inferiore soltanto a quello della Romania (19,3%) e più elevato di quello medio europeo (11,2%), di quello spagnolo e francese (12,3%, entrambi) e di quello tedesco (8,8%).

In Italia meno laureati tra i giovani rispetto alla media europea

In Italia la quota di 25-34enni in possesso di un titolo di studio terziario è uno degli indicatori target del nuovo Quadro strategico per la cooperazione europea relativo al 2030. Nonostante in Italia, nel 2023, la quota di giovani adulti in possesso di un titolo di studio terziario sia leggermente cresciuta, attestandosi al 30,6%, resta lontana dall’obiettivo europeo (45%), è decisamente inferiore alla media europea (43,1% nell’Ue a 27) ed è molto al di sotto dei valori, comunque in crescita, degli altri grandi Paesi (51,9% Francia, 52,0% Spagna e 38,4% Germania). Questa distanza trova ragione anche nella limitata disponibilità, in Italia, di corsi terziari di ciclo breve professionalizzanti, erogati dagli Istituti Tecnologici Superiori, che in altri Paesi europei forniscono una quota importante dei titoli terziari conseguiti: con riferimento alla classe di età 25-34, in Spagna rappresentano quasi un terzo dei titoli terziari (31,3%), in Francia un quarto (24,4%), un decimo (11,5%) nella media dei 22 Paesi europei membri Ocse e il 16,7% nella media dei Paesi Ocse.

Preoccupa l’aumento degli inattivi

Insomma, per i giovani ci sono dati in miglioramento. Ma preoccupa il dato sugli inattivi. Se infatti in Italia il tasso di occupazione complessivo si conferma stabile attorno al 62,3%, è anche vero che agosto ha visto da un lato una diminuzione del numero dei disoccupati (-46mila unità), ma dall’altro una crescita del numero di inattivi (+44mila). Il tasso di inattività, dopo mesi di calo, è risalito ora al 33,4%, un dato che evidenzia l’urgenza di misure mirate per contrastare questo fenomeno, in particolare tra i giovani. Tra questi ultimi infatti cresce l’inattività, in particolare fra i giovanissimi (15-24 anni). Quello che sembra emergere, ha chiosato Francesco Seghezzi , presidente Adapt, è «una sorta di polarizzazione tra coloro che riescono a trovare un’occupazione e chi, invece, smette di cercare lavoro. Questo fenomeno appare preoccupante e richiede interventi mirati per favorire il rientro nel mercato del lavoro».

Fonte: Il Sole 24 Ore