Tunisia, Saïed vicino al 90% dei consensi. Ma l’affluenza è ai minimi

Non si aspettavano sorprese. Non sembrano essercene state. Il presidente in uscita della Tunisia, Kaïs Saïed, si prepara alla riconferma nelle presidenziali che si sono tenute il 6 ottobre nel Paese nordafricano. Secondo i dati diffusi dalla tv pubblica e realizzati da Sigma Conseil, una società indipendente, i consensi di Saïed veleggerebbero sopra l’89% proiettandolo verso una vittoria schiacciante sui suoi unici due avversari: Zouhair Maghzaoui e Ayachi Zammel, i complementi di una contesa a tre che si è ancora più semplificata con la sintonia fra Maghzaoui e Saïed e l’incarcerazione (e le condanne) piovute a carico di Zammel.

L’unico stridio nel trionfo già atteso da Saïed arriva dal tasso di affluenza, ritenuto uno dei pochi indicatori attendibili sul clima che si respira a Tunisi: l’agenzia AP parla di una partecipazione ferma al 27,7% o 2,7 milioni di elettori, l’equivalente di poco più della metà del 49% registrato alle urne del 2019. Le opposizioni avevano fatto appello al boicottaggio tout court del voto, c0ntestando l’esclusione di 14 dei 17 candidati in corsa e la repressione del dissenso in un Paese che vacilla sull’orlo del default e pare sbilanciato da anni in un’involuzione autocratica imputata allo stesso Saied.

Saied: ripuliremo il Paese dalla corruzione

Le contestazioni non sembrano scalfire Saïed, già intervenuto pubblicamente per rivendicare il suo successo. Le dichiarazioni rilasciate dal suo quartier generale già il 7 ottobre, all’indomani del voto, ricalcano quello che ne avevano accompagnato il successo cinque anni fa: «Ripuliremo il Paese dai corrotti», ha detto, insistendo sullo stesso tasto del repulisti morale e politico brandito ai tempi della sua prima vittoria nel 2019. Anche all’epoca Saied aveva fatto breccia nell’elettorato assicurando un giro di vite rispetto al vecchio establishment locale, cavalcando la coda dell’ondata di innovazione delle Primavere arabe.

L’effetto è svanito in fretta. Saïed, 66 anni, è accusato di aver trascinato la Tunisia su una china autoritaria scandita dalla dissoluzione del Parlamento, il ricorso massiccio ai decreti e poi la spinta su una riforma costituzionale che ha accentrato nelle sue mani il potere. Le stesse elezioni del 2024 si sono svolte in un clima di tensione acuito dall’estromissione dei candidati ostili e gli appelli ignorati della magistratura a un ripristino degli avversari messi ai margini, l’ultima espressione di un dissidio fra giustizia e potere politico che sembra pendere sempre più a favore del secondo.

Alle controversie politiche si è accompagnata un’altra fragilità, una crisi economica che si è accentuata ancora nel primo mandato di Saied. Il Paese registra un tasso di disoccupazione sopra il 16% e povertà in ascesa, con un bilancio pubblico che traballa e l’urgenza di finanziamenti esteri tenuti in sospeso dall’approccio bellicoso dello stesso Saied verso creditori come il Fondo monetario internazionale. Tunisi si è – parzialmente – assicurata una fonte diversa di risorse con Bruxelles, siglando un memorandum of understanding nel 2023 per un valore complessivo di oltre 1 miliardi di euro: 150 milioni in sostegno diretto al budget e altri 900 milioni di euro vincolati a un’intesa con lo stesso Fmi. La contropartita richiesta a Tunisi è la gestione dei flussi migratori dalle sue coste, incarico rispettato finora con metodi che sono valsi accuse di violazione dei diritti civili e umani dei migranti subsahariani.

Fonte: Il Sole 24 Ore