Smi e Ambrosetti, la moda in ritardo di otto anni nelle sfide green

La moda è in ritardo di otto anni rispetto agli obiettivi imposti dall’Unione europea nella sostenibilità. Scadenze al 2030 che, tuttavia, il settore potrebbe essere in grado di abbracciare in modo “pieno” solo nel 2028. La stima arriva dal report «Just Fashion Transition 2024”, l’osservatorio permanente sulla transizione transizione sostenibile delle filiere chiave della moda, abbigliamento, calzature e pelletteria di The European House – Ambrosetti il cui focus è, in questa terza edizione, l’analisi delle traiettorie evolutive del settore al 2030 e sull’efficacia degli impegni delle aziende nel perseguirle. Lo studio verrà presentato durante il terzo «Venice Sustainable Fashion Forum», presentato ieri a Milano. Il forum è stato fondato nel 2022 da Sistema moda Italia, The European House – Ambrosetti e Confindustria Veneto Est – Area Metropolitana Venezia Padova Rovigo Treviso. Nei due giorni di conferenze e dibattiti in programma il 24 e il 25 ottobre a Venezia, alla Fondazione Giorgio Cini, il filo conduttore sarà quello di ripensare l’approccio delle imprese, grandi e piccole, alla sostenibilità in un’ottica sinergica di ripensamento dell’intero settore, dalle norme alla trasformazione digitale, fino all’approccio ai consumi. Il tema dell’edizione, infatti, è «Leading Re-Generation».

Il discorso assume particolare rilevanza in un momento storico in cui la moda – italiana e non solo – sta vivendo un rallentamento dovuto sia a una serie di fattori esogeni, come le guerre e la stretta creditizia che hanno ridotto i consumi o la crisi in Cina, ma anche a una crisi del modello di business che deve rinnovarsi: «I momenti di difficoltà, come quello che sta attraversando il settore tessile e moda, sono da sempre terreno fertile per implementare nuovi assetti di rilancio – ha detto Sergio Tamborini -. Se la filiera sta ridefinendo le sue priorità rispetto all’innovazione, al capitale umano e al prodotto è anche e soprattutto per le sfide sostenibili che il mercato europeo sollecita». Al tavolo del Venice Sustainable Fashion Forum 2024 siederanno sia marchi dell’altagamma (Tod’s, Lvmh, Prada, solo per citarne alcuni) ma anche del fast fashion (Shein): «Non parlare del e con il fast fashion vuol dire non considerare un pezzo significativo del mondo della moda – ha continuato il presidente di Smi – per il quale lavorano anche alcuni distretti del made in Italy».

Il già citato report di TEHA, che ha coinvolto oltre 500 aziende, tra retailer globali, big europei e aziende della filiera italiana, ha sviluppato le proiezioni delle prestazioni economiche e ambientali delle imprese di settore al 2030, basandosi su serie storiche che contano più di 775 datapoint a livello europeo. Il risultato, come detto, ha evidenziato un sostanziale ritardo nel rispettare i termini europei. Un ritardo che dovrebbe avere una risposta il più possibile sinergica: «Siamo convinti che questa sfida debba essere abbracciata e possa essere vinta solo dalla stretta collaborazione di tutti e tre gli elementi strategici che caratterizzano (e rendono unico) questo settore, soprattutto nel nostro Paese: i grandi marchi, i piccoli marchi e l’intera filiera manifatturiera la cui parte a monte, per evidenti motivi di frammentazione e di mezzi a disposizione, rappresenta oggi l’anello più debole che va sostenuto e preservato», ha detto Flavio Sciuccati, partner The European House-Ambrosetti e director Global fashion unit. Che ha sottolineato anche il rischio che l’Europa perda un ruolo chiave nel dibattito globale su questi temi.

Il report, che analizza 2.900 bilanci di imprese, ha anche evidenziato una forte disparità nella marginalità della filiera, un parametro che incide sulla possibilità di autoinvestire sia sull’accesso al credito e, quindi, evidenzia come parte delle imprese non possano nemmeno finanziare la transizione. «Non vediamo brand davvero disposti a pagare per la sostenibilità – ha detto Andrea Favaretto Rubelli – vice presidente Gruppo Sistema Moda Confindustria Veneto Est- ma se il prodotto sostenibile diventasse fattore di competitività sarebbe molto interessante e un incentivo all’investimento».

Fonte: Il Sole 24 Ore