Processo Eni: condannati i pm per aver nascosto prove utili alla difesa

Non ha fine la vicenda del processo Eni, un grande caso giudiziario nato in procura a Milano, da cui hanno preso vita una serie di dossier collaterali, ancora oggi in piedi nonostane il filone principale sia finito con l’assoluzione.

Il tribunale di Brescia ha condannato i pubblici ministeri di Milano, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, titolari del caso, a 8 mesi di reclusione per rifiuto d’atti d’ufficio, per aver nascosto prove favorevoli alle difese dell’Eni.

Il processo principale verteva su una presunta corruzione internazionale, e secondo la tesi della procura, guidata all’epoca da Francesco Greco, era stata pagata una maxi tangente nigeriana da un miliardo di dollari. Dopo l’assoluzione, anche la Cassazione ha messo la parola fine lo scorso giugno. Tuttavia i filoni secondari sono proseguiti fino ad oggi. Tra questi, quello relativo al fatto che i procuratori avrebbero trascurato prove in favore della difesa, non fornendole agli avvocati di parte. Una vera e propria omissione, secondo la procura di Brescia, chiamata a giudicare i procuratori di Milano.

Poco fa la sentenza. Il collegio, presieduto da Roberto Spanò, ha dichiarato i due pm responsabili di rifiuto d’atti d’ufficio, ma ha concesso le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena con la non menzione. Inoltre li ha condannati al pagamento delle spese in solido con la presidenza del Consiglio da liquidare in separata sede alla parte civile Gianfranco Falcioni, l’ex vice console onorario per l’Italia in Nigeria (tra gli assolti del processo milanese). L’avvocato dei due pm Massimo Dinoia ha già annunciato il ricorso in appello.

Andiamo ai fatti. Gli episodi contestati si sono verificati fra gennaio e marzo 2021. In particolare i pm De Pasquale, 67 anni ed ex procuratore aggiunto a capo del pool reati internazionali della Procura di Milano, e Spadaro, 48 anni e oggi sostituto alla Procura europea Eppo, rispondono di 6 episodi di omissione d’atti d’ufficio, per non aver depositato alle difese Eni gli elementi raccolti dal pm Paolo Storari durante l’inchiesta parallela “Falso complotto Eni”, processo ancora in corso.

Fonte: Il Sole 24 Ore