Battaglia sul bilancio Ue: modello Pnrr e tagli in vista per coesione e agricoltura

«Una bomba per la politica di coesione europea e ancora di più per la politica agricola». Così Emil Boc, ex premier rumeno e presidente della commissione Politica di coesione territoriale e bilancio Ue del Comitato delle Regioni ha definito il “no paper” della Dg Budget della Commissione europea che di fatto ha avviato il confronto per la definizione del prossimo quadro finanziario pluriennale della Ue (MFF nell’acronimo inglese). Sei slide deflagrate a Bruxelles, proprio mentre si celebrava la settimana delle regioni, che ridisegnano il futuro delle politiche regionali dell’Unione, in un’ottica di accentramento sia a livello nazionale che comunitario. Tutto nasce dall’esigenza di individuare risorse per finanziare uscite già previste ma anche nuove spese: i costi del sostegno all’Ucraina (già stanziati 50 miliardi nel bilancio attuale, ma da rivedere nel 2026), il rimborso degli interessi per i prestiti di NextGenerationEu (30 miliardi all’anno dal 2028), i fondi per le emergenze climatiche (è di poche settimane fa l’impegno destinare 10 miliardi per gli Stati membri colpiti dalle alluvioni, posto che il Fondo di solidarietà è già esaurito), ma anche tutte le nuove priorità strategiche di lungo termine, dalla competitività alla difesa. Coesione e agricoltura rappresentano circa i due terzi del bilancio Ue e dunque, in assenza di nuove entrate, sarà inevitabile sacrificare due capitoli la cui efficacia è periodicamente (e spesso frettolosamente) messa in discussione.

Cosa prevede la proposta e il modello Pnrr

Gli attuali sette capitoli di bilancio vengono ridotti a quattro: 1) resilienza, coesione e governance economica; 2) competitività autonomia strategica e valori Ue; 3) global Europe per l’azione esterna; 4) spese amministrative.
Il primo capitolo, che comprende anche l’agricoltura, viene declinato in 27 programmi nazionali anziché nei 531 attuali (398 per Fesr, Fse+ e Fondo di coesione, 54 per l’agricoltura e la pesca e 79 per la sicurezza interna e i controlli alle frontiere). Solo l’Italia oggi ha più di 50 programmi. Sulla carta, la proposta promette semplificazione, flessibilità e meno burocrazia. Questo assetto, secondo chi l’ha ideato, dovrebbe consentire un legame forte tra agenda politica e priorità Ue (semestre europeo, energia, clima, stato di diritto…). Le riforme, come avviene per i Pnrr dei 27, sono condizione necessaria per ottenere le risorse: a titolo di esempio, semplificazione degli appalti in cambio di finanziamenti per opere pubbliche, riduzione del gender gap per finanziare l’edilizia sociale, concessioni più veloci per finanziare fonti rinnovabili, sviluppo delle produzioni biologiche per avere i fondi agricoli diretti della Pac, rafforzamento della cooperazione transfrontaliera in cambio dei finanziamenti per costruire centri di accoglienza per i migranti.

Il secondo piatto forte della proposta per il prossimo MFF è il Fondo europeo per la competitività, certamente ispirato al rapporto Draghi, in cui confluirebbero gli undici programmi attuali destinati a industria e ricerca: Horizon, InvestEu (ex Piano Juncker), Innovation Fund, EU4Health, i fondi per lo spazio e per il digitale, Single Market e altri. L’obiettivo dichiarato, anche in questo caso è rafforzare agenda politica e guida strategica.

Tastare il terreno

La proposta, ancora informale ma molto autorevole perché arriva dalla Dg Budget guidata da Stéphanie Riso, ex vice capo di Gabinetto di Ursula von der Leyen e consigliera economica ancora molto ascoltata (una delle menti di NGEU e del modello Pnrr), arriva in un momento in cui le istituzioni sono in una sorta di limbo, con il vecchio esecutivo in scadenza e il nuovo non ancora insediato. E con von der Leyen elemento di continuità. Il momento migliore per tastare il terreno e vedere l’effetto che fa. La proposta della Commissione deve essere presentata a Consiglio e Parlamento entro giugno 2025, quindi c’è tempo per aggiustare il tiro e per capire se sarà possibile trovare nuove “risorse proprie”, cioè entrate europee,che non urtino troppo i contribuenti, come la tassazione “all’esterno”, per esempio il Carbon Border Adjustment Mechanism che colpisce i beni importati prodotti con alte emissioni di CO2.
Ma non sarà semplice tener conto delle richieste delle regioni, che hanno già alzato le barricate, e superare le prevedibili resistenze – ben più forti – di alcuni Stati membri, soprattutto quelli in cui l’assetto istituzionale dà un ruolo importante ai territori. Prima fra tutti la Germania dove i Länder hanno grande autonomia nella gestione delle risorse europee, sin dalla definizione dell’Accordo di partenariato che regola i rapporti con Bruxelles. O il Belgio, dove Fiamminghi e Valloni fanno sempre un’enorme fatica a trovare una sintesi. Ma anche Polonia e Italia, prima e seconda beneficiarie di fondi europei e Stati membri da cui arrivano il nuovo commissario al Bilancio, Piotr Serafin, e il titolare della Coesione, Raffaele Fitto. Serafin è uomo molto vicino a Donald Tusk a cui von der Leyen deve moltissimo per la rielezione e dunque farà pesare le sue posizioni. Lo stesso vale per Fitto, che vorrà arginare i tagli ai fondi strutturali, anche se il rafforzamento del presidio del governo centrale sulle politiche regionali va nella stessa direzione che da ministro ha impresso in Italia.

Elisa Ferreira: è una fake news

Intanto, tra le numerose reazioni contrarie dei giorni scorsi, meritano di essere sottolineate quella della commissaria uscente alla Coesione, la portoghese Elisa Ferreira, e quella del presidente del Comitato delle Regioni, Vasco Cordeiro. «Abbiamo letto la proposta, come tutti – ha detto Ferreira – ma spero che sia una fake news. Abbiamo cercato il paper ma non abbiamo trovato nulla. Ci sono voci qui e là e quella sulla politica di coesione è molto strana. Mi atterrei però a quanto è stato detto in Parlamento» ha aggiunto riferendosi agli orientamenti politici di luglio della von der Leyen dopo la conferma del mandato. «Cancellare il ruolo e la partecipazione delle regioni e delle città al futuro della politica di coesione non è accettabile e mina il progetto europeo» ha messo in guardia Cordeiro. La battaglia è cominciata.

Fonte: Il Sole 24 Ore