l’evoluzione verso autenticità e inclusività nella leadership

In un recente studio pubblicato da Harvard Business Review, emerge che, negli ultimi 10 anni, l’ispirare fiducia e la risolutezza sono ancora tratti importanti, tuttavia l’inclusività è entrata nella lista delle componenti più apprezzate rispetto alle 3 componenti elencate in precedenza. Questo cambiamento riflette il nuovo peso della diversità, dell’equità e dell’inclusione nella strategia aziendale. Il vecchio ideale – modellato e incarnato da leader maschi bianchi di successo, che hanno governato il mondo aziendale statunitense ed europeo all’inizio di questo secolo – si è da tempo appannato, lasciando spazio ad esempi di leader, sì, confidenti, decisi, lucidi e autorevoli, ma anche empatici, aperti al feedback, emotivamente consapevoli e alleati in tutti gli aspetti della Diversity, Equity & Inclusion.

Le nuove caratteristiche dell’executive presence

Anche nell’executive presence le caratteristiche di valore di questa nuova leadership devono essere espresse e ben visibili, superando così vecchi insegnamenti sul “cosa è bene rivelare e non rivelare troppo di sè”. Oltre a Kamala Harris, sono molti i leader di aziende e organizzazioni che hanno iniziato a parlare apertamente del proprio background modesto per dimostrare executive presence. Ad esempio, Bill Hornbucke, CEO di MGM Resort, per ingaggiare le proprie persone nel post pandemia, ha raccontato a più riprese come all’inizio della sua carriera fosse un cameriere del servizio in camera di una nota catena; va da sé che nessuno dei suoi dipendenti ha messo in dubbio che sapesse che cosa vuol dire lavorare in un hotel.

Allo stesso modo, Laura Garza, Chief People Officer di Dyson, ha affermato in una recente intervista: “Sono messicana e sono gay. Penso che anche questo mi metta nella posizione di “cogliere” la complessità del mercato globale.” E che dire di Ginni Rometty, CEO di IBM dal 2012 al 2020? Interrogata in merito alla sua nota capacità innovativa e visionaria, ha più volte affermato: “Mia mamma con 4 figli e nessuna istruzione dopo il liceo ha dovuto capire come guadagnarsi da vivere quando suo marito – mio padre – ci ha abbandonato. È stata dura. Ma ho sempre visto come fosse riuscita a reinventarsi con grande fatica perché non aveva accesso a molte cose. Questo mi è rimasto in mente da sempre e per sempre. Trovare l’accesso verso il futuro».

Io applaudo, non so voi. L’autenticità e l’unicità, che non venivano particolarmente valorizzate 10 anni fa, ora vengono, invece, richieste ai leader e ci si aspetta che rivelino chi siano realmente e non imitino un modello datato e idealizzato. Pensiamo, ad esempio, a come i codici sul dress code siano cambiate negli ultimi anni. Anche negli ambienti più formali, ormai è consentita una certa interpretazione di un look che a volte sembrava più un uniforme “scomoda” che un abito confortevole adatto per il proprio lavoro; ad esempio cravatte e calzature che slanciano come must, e mi fermo qui.

Un tratto distintivo dell’executive presence è quindi comunicare la propria autenticità, dell’essere ciò che si è, con le proprie esperienze personali e lavorative. Insomma, avere tale qualità non significa fingere, copiare o recitare un copione per il quale non si è portati solo per fare bella figura. Al contrario, l’executive presence nasce e si sviluppa dalla veridicità, dall’essenza stessa del nostro essere, dai tratti che ci distinguono e che fanno percepire, a terze persone, i nostri talenti nascosti sul quale poggia tutta la nostra reputazione. Esperienze importanti di vita vissuta e professionale che fanno di noi gli unici “esperti” nel campo.

Fonte: Il Sole 24 Ore