Auto, la transizione nella mobilità è fattibile solo con un mix di tecnologie

Il percorso verso la decarbonizzazione, la riduzione dei gas a effetto serra (GHG) e un più sostenibile utilizzo delle risorse naturali è fondamentale per il pianeta nel lungo periodo.
La comunità Europea ha approvato con il “Green Deal” e poi con il pacchetto Fit for 55, che assegna all’industria del trasporto il compito di ridurre del 55% le emissioni di GHG entro il 2030 rispetto al 1990, una serie di obiettivi (sfidanti) strumentali a raggiungere l’obiettivo finale di neutralità climatica entro il 2050.

Fin qui tutto bene, ma “il diavolo è nei dettagli”

L’industria dell’automobile in Europa ha una valenza sociale ed economica dominante con quasi 14 milioni di persone (il 6% dei posti di lavoro in Europa), rappresentando da sola circa un terzo degli investimenti in Ricerca e Sviluppo, e che ha consolidato negli anni una leadership tecnologica anche nei motori a combustione, che, tra le altre cose, ha consentito di ridurne le emissioni del 90% tra un veicolo Euro1 e uno Euro6. Al contrario, l’industria automobilistica europea non ha accesso alle materie prime e ai processi di trasformazione necessari per la produzione delle batterie.

Il dilemma delle misure

Misurare solo le emissioni allo scarico, senza includere quelle emesse nella fase di produzione e di smaltimento a fine vita del veicolo e dei suoi componenti, di fatto esclude la possibilità che i veicoli utilizzino qualsiasi forma di combustione (che per natura genera Co2) e quindi si punta esclusivamente alla trazione elettrica. È ormai noto, e confermato per ultimo anche nel recente rapporto “The future of European competitiveness” (anche noto come rapporto Draghi), che il c.d. “carbon footprint” dei veicoli elettrici è “generally higher than the one of ICE”.

Sono stati fatti errori, servono nuovi principi guida

Tralasciando colpevolmente il contributo di molti altri aspetti rilevanti (domanda, sovracapacità, la pressione competitiva, le mutate esigenze e richieste dei consumatori), è comunque emerso in maniera chiara che la transizione come era disegnata non poteva funzionare.
I nuovi principi auspicabilmente dovranno considerare neutralità tecnologica, misura del reale impatto (lifecycle emission), e dare a un’industria così rilevante in Europa il tempo e il supporto necessario per poter raggiungere gli obiettivi. Serviranno, tra gli altri, infrastrutture di ricarica, supply chain per lo smaltimento delle batterie, energia rinnovabile a costi di gran lunga inferiori a quelli attuali.

Il ruolo degli e-fuel

Nell’auspicabile ipotesi che l’apertura della Commissione sugli e-fuel sia un primo passo verso una revisione pragmatica e anche economicamente sostenibile del Fit for 55, emergeranno nuove sfide ed opportunità.
L’industria, che ha investito finora centinaia di miliardi a livello globale e che dichiarava di aver pianificato ulteriori investimenti per l’elettrificazione superiori a 600 miliardi di dollari per i prossimi cinque anni, ragionevolmente rivedrà i propri piani sull’elettrificazione. Questo significherà rivedere le attese di ritorno degli investimenti fatti, potenzialmente mettendo a perdita quelli con minor possibilità di successo con le conseguenze del caso per costruttori e fornitori che, seppur non si troveranno di fronte un precipizio economico, comunque dovranno superare una lunga valle o un altro “deserto dei profitti” (e del recupero degli investimenti fatti). Le considerazioni sui piani di riduzione di fabbriche e costi che stanno ricevendo grande attenzione mediatica ne sono un esempio.
Dall’altra parte, una conferma della modifica regolamentativa verosimilmente comporterà che i piani futuri saranno rivisti con una logica più pragmatica e tattica, rivalutando i piani che prevedevano che 17 delle 24 nuove piattaforme di veicoli annunciate entro il 2030 fossero BEV.

Fonte: Il Sole 24 Ore