Megalopolis, opera titanica ai limiti dell’assurdo

«Maestro, you done a Masterpiece, a very philosophical movie!». Bisognava dirlo, a Francis Ford Coppola, dopo che gli è stata dedicata una strada da vivo e dopo che la critica di tutto il mondo gli ha gettato fango addosso e il botteghino si è dimostrato implacabile. Parafrasando un noto critico si potrebbe asserire che “artisti si nasce, critici si diventa, pubblico si muore” senza fare una piega. E poi le recensioni negative in un certo senso se le era chiamate lui stesso, facendo un lancio con finte stroncature di illustri testate. Il punto è che oggi anche la critica risente di quel raffreddamento emozionale che chiamiamo cultura woke o roba simile tanto da non riuscire a comprendere la verve del maestro e del suo personalissimo “Otto e mezzo”. Che non poteva essere presentato in un luogo differente: siamo a Cinecittà, è qui che nascono le illusioni come diceva Fellini ed è qui che Francis si è librato nell’aria del cinema purissimo, del cinema che diventa magia. Una magia che l’attuale critica autistica, incapace di provare emozioni, non ha colto.

Un’opera titanica

Megalopolis è anzitutto un’opera titanica, frutto di decenni di gestazione e di una visione che trascende i limiti del cinema contemporaneo. Con un budget di 120 milioni di dollari, interamente autofinanziato vendendo persino le amate vigne della Sonoma Valley, Coppola ha dimostrato ancora una volta di essere un regista che non si piega alle logiche del mercato, ma plasma il mercato stesso con la forza delle sue idee.

E il suo è un film che sfida ogni definizione. È un’opera visionaria che fonde elementi di fantascienza distopica con riflessioni profonde sulla natura umana e sul destino delle civiltà. La trama, ambientata in una New York futuristica devastata da un cataclisma imminente, segue l’architetto visionario Caesar, interpretato da un indimenticabile Adam Driver, nel tentativo di ricostruire la città secondo ideali utopici. Ma il suo progetto si scontra con forze politiche corrotte e interessi personali, in un intreccio che riecheggia le grandi tragedie greche e shakespeariane.

Megalopolis è soprattutto un’ode visiva alla grandezza e alla caduta dell’Impero Romano, traslata nell’immaginaria New Rome che ricorda la Roma imperiale nel suo apogeo. L’antagonista, il sindaco Frank Cicero, un Giancarlo Esposito in stato di grazia, incarna tutte le contraddizioni di un moderno Catilina, mescolando demagogia e corruzione in un cocktail esplosivo.

La fotografia

La fotografia di Mihai Mălaimare Jr. è un trionfo di chiaroscuro digitale. Invece di scimmiottare la tradizione compositiva classica, egli crea un ponte visivo tra l’estetica della statuaria romana e un futuro post-umano. Le sue inquadrature, spesso simmetriche e magniloquenti, evocano i fasti dell’architettura imperiale dei Cesari, con edifici che sembrano ergersi dalle rovine come nuovi Colossei. L’uso della luce, in particolare, è rivoluzionario: Coppola gioca con ombre e riflessi per creare un mondo al contempo familiare e alieno, dove il confine tra realtà e illusione si fa sempre più labile.

Fonte: Il Sole 24 Ore