Ai: il maggior furto di dati della storia

«La capacità dei sistemi di intelligenza artificiale è resa possibile dal maggior furto di dati e della storia!»: Karin Schmidt-Friderichs, presidente della German publishers & booksellers association, si è rivolta così alla stampa durante l’apertura della Frankfurter Buchmesse, la più importante fiera del libro del mondo. «La creatività deve essere remunerata – ha proseguito -. Testi e immagini protetti da copyright invece sono stati usati e continuano a essere usati milioni di volte senza pagare i diritti e senza il consenso degli autori come materiale di addestramento per l’intelligenza artificiale (Ai)». Non si parlava che di questa minaccia per l’editoria, la stampa e le altre industrie creative, di cosa si può e si deve fare, oltre che della necessità di sapere la fonte delle informazioni generate dall’Ai, nelle sezioni internazionali del salone. Infatti, anche se nessuno sa precisamente come funzionino gli Llm (Large language models), i sistemi di Ai generativa fanno continuamente uso di materiale protetto da diritti d’autore, riproducendolo innumerevoli volte sia quando lo scaricano per addestrarsi, sia durante l’estrazione dei nuclei informativi, sia quando lo rielaborano per fornire le risposte richieste, come mostrato da recenti studi citati da Silke von Lewinski, del Max Planck Institute for Innovation and Competition di Monaco. Non si potrebbe far valere l’eccezione al copyright per il “text and data mining” nel caso dell’Ai generativa, secondo molti esperti, perché questa non è una tecnica automatizzata per analizzare dati digitali, come le statistiche, ma usa i documenti per generarne di simili. Il fatto stesso che si possa chiedere ai Llm di produrre qualcosa nello stile di un certo scrittore, o musicista, o fotografo, mostrerebbe chiaramente che quel che si copia in questo processo è anche lo stile dell’autore. Von Lewinski, che è anche esperta legale della Commissione europea, ha sottolineato come l’Ai Act europeo sia solo un primo passo per regolamentare il settore, e che non è efficace per tutelare il diritto d’autore. Importante sarà vedere, nei prossimi mesi, cosa diranno le sentenze delle circa 25 cause sull’Ai in corso negli Usa, come quella del New York Times contro OpenAI e Microsoft per aver violato con ChatGpt e Copilot la legge sul copyright. Intanto, secondo von Lewinski, è importante non perder tempo: fare lobby e intentare cause che costringano i tribunali a pronunciarsi e cercar di vendere i diritti alle società di Ai, per creare precedenti e mostrare che c’è un mercato, oltre che per mantenere il controllo sui propri contenuti. Della stessa opinione (ovviamente) anche gli esperti dell’agenzia letteraria Wiley, che hanno anche individuato le più interessanti applicazioni odierne dell’Ai nell’editoria: scovare errori, pregiudizi e inconsapevoli plagi nella scrittura, trovare le citazioni, impaginare secondo i requisiti dell’editore, visualizzare dati, aiutare la scrittura.

Juergen Boos, direttore della Buchmesse, inaugurando la fiera con la stampa ha citato Roberto Saviano come primo nome degli autori internazionali presenti – in riposta forse alla polemica suscitata da quest’ultimo quando non è stato inserito nella delegazione italiana, polemica che ha portato a un programma di scrittori italiani parallelo ospitato da Pen Berlin. E – nell’introdurre l’Italia Paese ospite, dopo 36 anni – ha detto solamente: «Fatevi ispirare da Igiaba Scego, con la sua letteratura postcoloniale, da Vincenzo Latronico, e il suo romanzo sui giovani italiani a Berlino o da Claudia Durastanti con la sua autofiction tra Roma e Brooklyn: tutti loro rappresentano un’Italia diversa, moderna, giovane». Nel padiglione italiano, però, i giovani autori italiani avevano le loro belle difficoltà a mostrare questa Italia e a portare avanti una letteratura che non sia solo “etnica”: «Spero che l’Italia venga conosciuta nella sua pluralità e al di là dello stereotipo» diceva Scego, scrittrice afrodiscendente, al caffé letterario. Ma la sua voce si sentiva appena, sovrastata com’era da quella del cantante da pianobar che, nella buia sala a fianco, adornata da un porticato di bianche colonne , intonava O sole mio, o qualcosa del genere. Cantava ancora canzonette a squarciagola quando Alice Urciuolo, autrice che descrive le giovani ragazze italiane alle prese con una cultura patriarcale, si sentiva chiedere: «Ma come mai voi autori italiani scrivete sempre di mamma e papà»? Molte delle presentazioni degli scrittori del programma ufficiale erano sguarnite di pubblico, specialmente di quel pubblico di agenti ed editori che è la forza di una fiera b2b. Una grande occasione mancata, mormoravano alcuni editori, aggiungendo che a loro conviene di più tradurre un autore straniero che usufruisce del sostegno alla traduzione del suo Paese che portare avanti un italiano, sul quale difficilmente guadagneranno vendendo i diritti, poiché gli aiuti alla traduzione italiani sono pochi e complicati da avere: un milione l’anno dal 2020, quando sono aumentati. Non molti di fronte ad esempio alla Svizzera che, pur essendo un piccolo Paese, investe la stessa cifra, o alla Corea del Sud, che investe 19 milioni di euro (e quest’anno ha vinto il Nobel per la Letteratura).

Fonte: Il Sole 24 Ore