tra soft skill, AI e Generazione Z

È realmente una trasformazione radicale quella che sta interessando il concetto di leadership (e la sua applicazione) nel contesto lavorativo attuale, sempre più complesso e ibrido e segnato dalla sempre maggiore pervasività delle tecnologie digitali? Difficile trovare argomentazioni che provino il contrario, e anche la recente indagine condotta su oltre 650 C-Level italiani dalla società di consulenza Buono & Partners in collaborazione con YOURgroup ed Eggup (Gruppo Zucchetti) va a confermare come la concatenazione di più fenomeni “disruptive” (la pandemia, la diffusione su larga scala dell’intelligenza artificiale e l’entrata in scena della Generazione Z) abbia ulteriormente accelerato la necessità di un ripensamento del concetto di leadership.

Modelli tradizionali sempre meno efficaci

L’analisi prende spunto dalla constatazione che i modelli tradizionali basati su autorità e controllo si rivelano sempre meno efficaci per gestire le nuove dinamiche lavorative e si concentra sul ruolo cruciale delle soft skill quale risorsa per definire l’efficacia di un leader. Intelligenza emotiva, empatia, ascolto attivo e agilità cognitiva, si legge nella nota che accompagna lo studio, sono le capacità che permettono ai manager non solo di gestire le situazioni di crisi, ma anche di creare ambienti di lavoro che favoriscono l’innovazione e la collaborazione fra i dipendenti e in cui l’incertezza viene vista non come una minaccia ma come un’opportunità. Ai nuovi leader sono quindi richieste doti per trovare ispirazione, coinvolgere e adattarsi continuamente e il rapporto, in tal senso, ha messo evidenza i tratti di personalità che risultano più rilevanti per il successo manageriale, analizzandoli attraverso cinque specifici parametri (energia, amicalità, responsabilità, stabilità emotiva e apertura mentale) e identificando sia i tratti più utili per guidare un team o un’organizzazione sia le possibili derive negative di questi stessi tratti, dal rischio di burnout all’eccessiva accondiscendenza fino al rallentamento dei processi.

La sfida che chiama in causa le figure di riferimento in azienda si gioca su diversi piani e uno di questi riguarda la capacità di sviluppare una leadership equilibrata ma consapevole e determinata allo stesso tempo, capace di massimizzare i benefici delle caratteristiche personali e che va oltre il semplice ruolo decisionale per assumere quello di facilitatore del cambiamento e di motore per il coinvolgimento attivo dei team.

L’obiettivo di fondo è, nondimeno, quello di arrivare a guidare le aziende con un purpose ben definito, aspetto che sta assumendo un’importanza centrale nella leadership moderna. Una tendenza sempre più marcata vede infatti l’impegno concreto verso il raggiungimento di obiettivi (la responsabilità sociale, la sostenibilità ambientale e il contributo positivo alla società) che trascendono l’ottenimento di un profitto immediato diventare sempre di più il faro che orienta le decisioni e le strategie a lungo termine. Ed è un approccio, quello che eleva il purpose a strumento virtuoso in carico ai leader, particolarmente rilevante rispetto all’incidenza delle aspettative delle nuove generazioni (profondamente diverse da quelle dei lavoratori in età matura) sulle consuetudini che regolano la vita e le relazioni all’interno di un’azienda.

Il viaggio verso una nuova leadership flessibile è lungo e non nasconde insidie, soprattutto in quelle imprese dove la figura apicale non è un manager ma il classico imprenditore “old style” (per mindset, per formazione, per esperienza e, non in ultimo, per età).

Fonte: Il Sole 24 Ore