Smart working a due velocità, chi lo abbandona e perché

Il mercato del lavoro

In tutti i casi c’è un’evoluzione dei modelli che andrebbe vista in un contesto un po’ più allargato, come quello del nostro mercato del lavoro dove stiamo assistendo a una vera e propria crisi dell’offerta di lavoro, dovuta all’inverno demografico: nel 2030 Adapt stima che ci saranno 730mila lavoratori in meno, nel 2040 3,1 milioni, nel 2050 4,6 milioni. Ecco allora che diventa importante «mettere in campo tutti gli strumenti capaci di rendere il lavoro attrattivo e inclusivo, per le donne, le madri, i padri, i caregiver, per una fase molto lunga dato che la sostenibilità del sistema previdenziale allungherà la vita lavorativa di tutti – interpreta Corso -. Questo significherà sempre più pensare a modelli organizzativi con una chiara visione di come si favorisce la produttività e la motivazione delle persone, del work life balance, della flessibilità, dell’inclusione, del benessere al lavoro. Più che tornare a modelli del passato, spesso superati, bisogna pensare a come fare evolvere, anche grazie alle tecnologie, quelli che abbiamo perché la crescita economica ci sarà nella misura in cui avremo più persone che lavorano e producono».

L’indagine tra i lavoratori

Dal picco pandemico ad oggi, il numero degli smart worker si è praticamente dimezzato. Se nel 2020 ci sono state 6 milioni e 590mila persone che hanno lavorato da remoto, oggi il loro numero è sceso a 3 milioni e 555mila. Questo vuol dire che oltre tre milioni sono rientrati in ufficio, soprattutto nella Pa e nelle piccole e medie imprese, mentre nelle grandi realtà i modelli di lavoro agile si sono via via consolidati. Complici anche le scelte fatte da alcune multinazionali, come Amazon, che hanno innescato un acceso dibattito tra i lavoratori, resta aperta la domanda su quale sarà il futuro di questo strumento. L’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano ha sondato un gruppo di circa 1.500 lavoratori, dipendenti di organizzazioni con oltre 10 addetti, rappresentativo della forza lavoro dipendente italiana.

La reazione negativa al rientro 5 giorni su 5

Tra questi 198 lavorano per una parte del tempo da remoto. Se venisse chiesto loro di tornare completamente in presenza, secondo quanto spiega la direttrice dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, Fiorella Crespi, «il 73% reagirebbe in modo avverso. In particolare, il 27% metterebbe in discussione il fatto di continuare a lavorare per l’organizzazione, valutando o mettendosi a ricercare un altro impiego, mentre il 46% si adopererebbe per far cambiare la decisione ritenuta svantaggiosa». Mettere in discussione però non vuol dire andarsene, potrebbe anche voler dire semplicemente quiet quitting, ossia fare il minimo indispensabile. Per i lavoratori, «comunque, per cercare di compensare almeno in parte la mancata possibilità di lavorare da remoto, l’organizzazione dovrebbe offrire loro una maggiore flessibilità oraria o un aumento di retribuzione mediamente pari al 20%», dice Crespi.

Chi è gia rientrato completamente in presenza

Nell’indagine sono rientrati anche 321 lavoratori che oggi sono tornati completamente in presenza, dopo aver lavorato da remoto in passato. A loro sono state chieste le motivazioni che li hanno portati a ritornare in presenza. È emerso che solo il 19% lo ha fatto per una scelta personale, per socializzare con i colleghi o perché non ne ha più la necessità, mentre il 23% dichiara di avere una nuova mansione che non si può svolgere da remoto. La maggioranza, il 58%, dichiara che è stata una decisione presa dall’organizzazione. Tra le motivazioni, la percezione dei lavoratori è che la mansione debba essere svolta in presenza (46%) o il timore di una riduzione del livello di servizio lavorando da remoto (43%).

La retromarcia di Amazon

I risultati dell’indagine si calano in un contesto internazionale dove ci sono società che hanno riequilibrato il lavoro ibrido, come è accaduto anche in Italia, cercando di raffinare i modelli e renderli più funzionali alle organizzazioni e alle loro caratteristiche, e altre società che hanno fatto una totale marcia indietro o lanciato segnali negativi. È passato poco più di un mese da quando il ceo di Amazon, Andy Jassy, ha scritto ai dipendenti della multinazionale spiegando che i vantaggi del lavoro in presenza, soprattutto per la creatività, erano maggiori di quelli del lavoro da remoto. Quindi? Dall’inizio del prossimo anno, si torna tutti a lavorare in ufficio, come in passato, cinque giorni su cinque. Secondo un sondaggio interno a condividere la nuova policy sarebbe il 90% delle persone. Nei giorni scorsi nel corso di un incontro interno un top manager di Amazon ha spiegato che chi non condivide la scelta può anche trovare un’altra società dove lavorare. Fine dello smart working? Per ora sì, per Amazon, la cui scelta è stata preceduta da segnali di riequilibrio tra lavoro in presenza e da remoto, una volta finita la pandemia, da parte di altre società, come Sap, At&t, Disney, Goldman Sachs e Bank of America. Le tech companies americane sono state tra le prime ad abbracciare con convinzione un’organizzazione del lavoro più flessibile durante il picco pandemico, spiegando di aver trovato vie di successo per consentire ai loro lavoratori di operare da remoto. Quattro anni dopo qualcuno ha cambiato idea e ha cercato un nuovo equilibrio.

Fonte: Il Sole 24 Ore